libri di qualità

Qualità: perché serve al self publishing

Sulle nostre pagine parliamo spesso di qualità e della sua importanza, soprattutto per chi fa self publishig. Lo facciamo pur sapendo che non è facile definire la qualità, farlo in maniera assoluta e univoca, così da incontrare il favore di tutti. Lo facciamo nonostante questo ci sia costato più di qualche detrattore. E continueremo a farlo, perché lo riteniamo il punto focale per la crescita del self publishig.

E se definire in modo assoluto il concetto di qualità è praticamente impossibile, dimostrare quanto essa sia importante è ben più semplice. Ed è quello che voglio fare con l’articolo di oggi.

Lo spunto è nato un paio di settimane fa, quando ho condiviso sui nostri canali social e in alcuni gruppi Facebook che seguo, l’articolo de “Il Post” dal titolo “Perché in Italia si pubblicano così tanti libri“.  Se non lo hai letto te lo consiglio, perché accende un faro su una criticità del sistema editoriale italiano che ogni scrittore (ma anche lettore) dovrebbe conoscere.

Ai fini di ciò che qui voglio trattare, ti basti sapere che nell’articolo si discute del ruolo ricoperto da editori, librerie e distributori nel proliferare di pubblicazioni.

Te lo ripeto perché voglio che il concetto ti sia chiaro: parliamo di editori, librerie, distributori e di come contribuiscono alla costante crescita di titoli pubblicati.

Ti starai chiedendo: cosa c’entra questo con la qualità?

Prima di risponderti voglio farti leggere alcuni commenti arrivati all’articolo su di un gruppo Facebook di lettori che conta decine di migliaia di iscritti. Bada bene, sto parlando di un gruppo di veri lettori, gente che sul gruppo vuole leggere solo articoli in cui si discute di letteratura e che, se trova il post di uno scrittore in cerca di pubblicità, gli stronca la carriera sul nascere (oltre a cancellargli il post).

Bene, immagino ti sia fatto la tua opinione (e sarei felice se vorrai condividerla nei commenti) ma intanto ecco cosa ne ho dedotto io.

Neppure i lettori leggono.

Questa ormai è una piaga della società moderna: il sovraccarico d’informazioni e la frenesia con cui le assumiamo porta spesso la maggior parte di noi – mi ci metto anch’io – ad assumere le notizie con superficialità, fermandoci il più delle volte al titolo.

Dei commentatori, infatti, ben pochi pare abbiano letto le argomentazioni riportate sul sito, preferendo fermarsi al problema evidenziato dal titolo e dando la loro opinione sull’argomento.

La colpa è degli scrittori.

E da queste opinioni si deduce che i lettori non hanno dubbi: se ci sono troppi libri in circolazione è perché in Italia c’è troppa gente che scrive. Peccato che nell’articolo non si faccia minimamente cenno al ruolo degli scrittori in questo meccanismo (se non per sottolineare come migliaia di essi lavorino gratis). Eppure il lettore medio non ha esitazioni: se ci fossero meno scrittori ci sarebbero meno libri.

Sul come nasca questo assioma ho più di qualche sospetto (anzi, potrei sbilanciarmi a chiamarle certezze) e commenti come l’ultimo ne sono una prova a favore: quel neologismo coniato fondendo la Vanity Press con il Self Publishig, quel sottolineare che “molti se li pagano”, puntualizzando come ormai l’editoria sia completamente in mano a quelli lì, evidenzia come il lettore medio (quello che si legge sotto l’ombrellone il Camilleri di turno) così come quello forte (che ha l’opera omnia di Joyce rilegata in pelle e cucita a mano) continuino a vedere con diffidenza, e a volte con disprezzo, l’editoria indipendente.

Il perché, se si ha un minimo di confidenza con l’argomento, è facile da capire. Fenomeni come l’editoria a pagamento, ad esempio, offrono un’immagine ben poco lusinghiera dell’autore che vi si affida (ma talvolta anche del piccolo editore sconosciuto, anche se estraneo alla pratica) e poco importa se nomi illustri del passato come Moravia o Svevo hanno attraversato lo stesso percorso. Allo stesso modo la facilità con cui oggi si può arrivare alla pubblicazione tramite il digitale (ebook per i più è sinonimo di self publishing) alimenta la convinzione che questa produzione fuori controllo nasca da lì e che, essendo appunto senza controllo, produca solo mostri.

I lettori hanno torto?

Purtroppo però, guardando la realtà dei fatti, non si può dire che quelli dei lettori siano tutti preconcetti ingiustificati.

Del business inqualificabile fatto dalle EAP ne hanno già parlato in tanti, e non è lo scopo di questo articolo aggiungere altro. Di self publishing però ne sappiamo qualcosa e purtroppo dobbiamo riconoscerlo: di mostri ne produce.

Inutile negarlo, ci sono in vendita libri autoprodotti che non sono degni di questo nome. Lo sappiamo per certo, perché ne abbiamo letti. Sono una minima parte, forse inferiore a quelli di buona qualità, ma ci sono. Così come ce ne sono tanti costellati di buone intenzioni, che lasciano intravedere un nascente talento, ma ancora acerbi e sicuramente non pronti ad affrontare i lettori.

Eppure sono lì, sugli scaffali. E cosa succede quando un lettore forte decide di acquistarne uno? Semplice, si alimenta il pregiudizio secondo cui il self publishing è il male dell’editoria.

Ecco perché servono qualità e responsabilità. E serve dare in pasto al lettore libri con contenuti di livello e una cura editoriale paragonabile a quella dei grandi editori.

E con ciò non voglio limitare la libertà di esprimersi di tante persone che nella scrittura trovano energia: ci sono tantissimi spazi per farlo, piattaforme come Wattpad o Meetale, nate prima di tutto per il confronto. Però bisogna rendersi conto che mettere un libro in vendita, farlo arrivare sugli store e nelle librerie, significa esporlo al mondo intero, e non ci si può arrivare improvvisando. Manderesti tuo figlio all’università senza avergli fatto fare le elementari?

È ora che gli autori indipendenti si rendano conto che per vincere la diffidenza dei lettori bisogna essere uniti e consapevoli, tirare fuori il massimo dal proprio lavoro nel rispetto del lettore e degli altri scrittori. Solo così potremo trasformare una “tristezza contemporanea su cui ridacchiare” in una forte realtà contemporanea con cui confrontarsi.

3 thoughts on “Qualità: perché serve al self publishing

  • stellacorsara

    Ho letto questo intervento con interesse e anche il primo, le cui reazioni ti hanno indotto a scrivere il secondo.
    Diciamo che l’articolo iniziale è molto tecnico e forse, ammettiamolo, al lettore medio non interessa troppo (anche a ragione).
    Il secondo, ovvero quello che sto commentando, dimostra ciò che ho sempre pensato.

    Oggi posso dire di essere uno scrittore auto-pubblicato (o self-published, ma sono ancora attaccato alla mia lingua madre), eppure fino a ieri ero solo un lettore, non un lettore di quelli onnivori, ma un lettore cui piace leggere solo ciò che lo emoziona e che se dopo 10 pagine non si sente travolto dalla storia, chiude il libro e lo ripone nello scaffale. Mi ritengo uno scrittore libero e un lettore libero, senza pregiudizi di alcun genere, neppure quelli reverenziali.
    Che voglio dire? Che a volte i lettori (ovviamente sto generalizzando) sono persone cui piace far sapere che leggono, sopratutto i classici, e tra questi quelli che la critica innalza ad Autori universali. Leggono non per se stessi, ma perché “fa fino”.

    Insomma, fuori dai denti, anche il libro è spesso uno status symbol. Meglio di un cellulare o di un Rolex certo, ma pur sempre un oggetto che si priva del suo significato originario per fargliene assumere un altro, totalmente diverso. E così anche i lettori di un forum sulla lettura, guarda caso non hanno voluto, o potuto, o saputo, leggere il tuo intervento. Commentandolo per di più!

    Detto questo condivido il discorso sulla qualità della scrittura, come di qualsiasi altra forma d’arte. Perché non tutto è artistico, anche quando ne assume la parvenza! Ma qui entriamo in un altro campo… provare a definire cosa sia l’arte… ma su questo magari dibatteremo in un altro intervento!:)

    • Michel

      Il fatto che il libro sia uno status symbol più che altro sposta un certo tipo di lettore, quello che rincorre il titolo del momento, quello sulla bocca di tutti. Sono lettori che neppure sanno cos’è il self publishing.
      Il lettore medio e forte, proprio perché a volte prova un sottile piacere a distinguersi dalla massa mostrando il proprio “essere lettore”, è in realtà pronto a scoprire novità, ad essere il primo ad arrivare sul prossimo best seller. Ma di certo non lo va a cercare tra il self, perché convinto (purtroppo il più delle volte a ragione) che sia solo una perdita di tempo.

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