Giù, giù per mano ad Alice
Rossella Romano
1. Giorno
Erano state sufficienti cinque o sei forti spinte, perché tutto
prendesse a muoversi. L’altalena, ma anche il ramo che la
reggeva, con un fruscio forte di foglie. L’aria che le correva
incontro, o cui correva incontro lei al ritorno, e i suoi capelli. Il
mondo intero, in effetti, pareva muoversi. Specie quando i due
cappi stretti attorno al ramo davano un piccolo scatto, forse a
causa dei nodi, e l’asse di legno sotto di lei sobbalzava. Fu
quello a spingerla a rallentare. Il sobbalzo, e lo scricchiolio
della corda, nient’affatto rassicurante. Dopotutto aveva ragione
il babbo: quella cosa doveva avere almeno cinquant’anni. Un
periodo di tempo quasi inconcepibile per Sara, che ne aveva
nove e mezzo.
Smise di spingersi e abbassò lo sguardo. La terra sotto
l’altalena era soffice, dello stesso colore del caffellatte.
Sembrava quasi sabbia. Sara abbassò un piede a sfiorare il
terreno e la punta della scarpa da ginnastica affondò, segnando
una lunga traccia, una specie di fossato, o trincea. Tornando
indietro la rimirò soddisfatta e, mentre l’altalena si muoveva di
nuovo in avanti, abbassò entrambi i piedi per raddoppiarla. Sì,
era proprio gustoso, anche se la punta bianca delle scarpe da
ginnastica stava già diventando giallastra. Riprese a spingersi
piano, muovendo appena la schiena, lo sguardo fisso a terra,
dove le due tracce parallele apparivano e sparivano, e le marcò
di più ogni volta. Fu alla sesta ondulazione che lo notò.
Il luccichio.
«Mam…» cominciò a dire, poi s’interruppe e puntò i piedi a
terra per fermarsi. Si voltò verso la casa, facendo scorrere lo
sguardo da una finestra all’altra. Niente da fare: era proprio
brutta.
«È un po’ post-apocalittica, hai ragione» aveva detto la
mamma con un sospiro, quand’erano rimasti tutti e tre a
guardarla, prima di avviarsi lungo il vialetto.
L’Apocalisse era la fine del mondo, Sara lo sapeva dal
catechismo. E da quel film di paura sugli zombie. Ma post…
«Vuol dire che sembra essere sopravvissuta a… che so…
una guerra nucleare, un attacco alieno…».
«La fine del mondo con gli zombie che ti mangiano…»
aveva aggiunto la bambina fissando le persiane verdi scrostate,
le chiazze di muffa nera che salivano dalle fondamenta, i
mattoni a vista, dove l’intonaco bianco e grumoso era
scrostato.
«Ma ha un pregio impagabile, sai» aveva aggiunto il babbo
arricciandosi le maniche della camicia, come se si stesse
preparando ad affrontare qualcosa.
«Che pregio?» aveva chiesto Sara.
«È gratis!» le aveva risposto lui socchiudendo gli occhi.
«Vieni, corri, facciamoci un giro intorno!».
L’altalena pendeva proprio al centro dello spiazzo sul retro
– non c’erano recinti a chiuderlo, e l’erba arrivava quasi al
ginocchio, per cui non si poteva chiamarlo giardino – appesa
ai rami di un grande albero pieno di foglie verde chiaro che
tremavano a ogni sospiro di vento.
«Sììì! L’altalena c’è ancora!» aveva gridato Sara correndo.
«Posso provarla?».
«Quella cosa probabilmente era già lì quando tua nonna era
bambina» le aveva risposto il babbo. «Io da piccolo l’ho usata,
ma ora non credo sia sicura. Chissà quando sono state
cambiate le corde l’ultima volta…».
«E daaii!».
«Va bene. Ma non andare troppo forte. Noi andiamo a dare
un’occhiata dentro».
Per adesso, però, sembravano semplicemente scomparsi.
Prima le era sembrato di aver sentito una delle finestre aprirsi,
sul lato davanti della casa, ma ora…
E se fossi qui da sola?
Sara si guardò attorno, annusando inconsapevolmente l’aria
dolce e pura di quel pomeriggio di fine giugno, ascoltando il
fruscio lieve del vento fra le foglie, i cinguettii degli uccelli, e
immaginò di esserlo davvero.
Sola…