Vivere intenzionalmente
Silvio Gulizia
La società della distrazione
Non ero più in grado di annoiarmi. Quando me ne sono reso conto, quattro anni fa, la mia vita era disordinata e iper programmata. Non riuscivo più a “trovare” tempo per le cose davvero importanti. Non ero più in grado di concentrarmi su nulla. La mia creatività era svanita. Ero vittima di un programma di distrazione di massa operato da uomini inconsapevoli i cui cervelli sono costantemente manipolati da macchine più intelligenti di quanto essi stessi credano.
Per annoiarti, oggi, devi volerlo. Devo dire di no al tuo iPhone. Al tuo iPad. Alla TV. Alle affissioni sui muri. Agli annunci in radio. Alla musica del supermercato. Alla voce che annuncia le fermate in metropolitana. Ai volantini stipati nella casella della posta. A telefonate ed email di sconosciuti. E ad altre mille cose an- cora. Con la fregatura che, se lo fai, se reclami per te il tuo tempo, gli altri ti guardano male. Come se non fosse una cosa da fare. Molti di questi altri sono alieni che vivono attorno a noi per privarci delle nostre energie e del nostro tempo con l’unico scopo di alimentare una società che ci vuole fatti con lo stampino. Essere originali, essere se stessi, è contro il programma: chi ci riesce è tollerato, ma descritto come genio, eccezione, caso più unico che raro, perché nessuno vuole che altri ci provino, e quindi esserlo deve apparire impossibile ai più.
Una volta era la noia che ti sceglieva quando ne avevi bisogno. Per stimolare la tua creatività. Per farti riflettere. Per spronarti ad agire.
L’effetto più evidente di questo programma di distrazione di massa è che ogni giorno ci si presentano opportunità a dismisura, e noi spendiamo le nostre risorse finite — tempo, attenzione ed energia — a cercare di valutarle e coglierle tutte, senza più distinguere fra quelle allineate con i nostri interessi e quelle di cui in realtà non ci frega un bel niente. Al contempo, ci sembra di non essere in grado di rendere al massimo delle nostre capacità perché vorremmo fare sempre di più di quello che siamo in grado di rea- lizzare. Senza rendercene conto, finiamo con lo stipare la nostra agenda di impegni solo per dimenticarci di telefonare a nostra madre e giustificarci dicendo che non abbiamo avuto tempo. Dormiamo di meno, incontriamo i nostri amici più spesso su Facebook che dal vivo, non pratichiamo più alcuna attività sporti- va e una volta su due ci sorprendiamo a pensare ad altro rispetto a quello a cui ci stiamo dedicando.
Quattro anni fa mi sono reso conto di aver perso, insieme alla noia, la capacità di avere una visione d’insieme e non ero più in grado di allineare le mie azioni con i miei valori e obiettivi. Facevo un sacco di cose, ma non avevo mai il tempo per quello che avrei voluto fare. Ero già morto mentre stavo ancora vivendo, perché la mia vita non la vivevo affatto, ma la consumavo correndo dietro all’ultimo stimolo ricevuto.
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La società della distrazione è programmata per distrarre il tuo cervello in media ogni 11 minuti. La macchina non è oliata alla perfezione, ma quando riesce nel proprio intento ti servono 23 minuti per ritornare allo stesso stato di concentrazione che avevi quando ti ha colpito1.
La nostra percezione del tempo, da cui dipende la pianificazione della nostra vita, è distorta da un’ingestibile mole di accidenti quotidiani, spesso senza alcuna relazione fra uno e l’altro, determinati dal caso o dalla sorte, a volte da una preghiera. Non abbiamo più tempo per le cose importanti perché quando riusciamo a ritagliarci un momento di pausa siamo troppo stanchi per godercelo. Se non fisicamente, almeno a livello mentale. Che poi quella “pausa” sarebbe “essere noi”.
Il problema è che tutto questo dipende da noi. La nostra vita non è una serie sconclusionata di accidenti che si materializzano uno dopo l’altro e a cui è possibile trovare un senso solo guardandoli a ritroso, ma si tratta di eventi che dipendono in tutto e per tutto dalla nostra incapacità di proteggerci da noi stessi. Per quanto questo possa sembrare egoista, è anzi il contrario. Perché siamo tutti passeggeri di un aereo in avaria, e senza portarci la maschera dell’ossigeno su naso e bocca non saremo mai in grado di aiutare chi ci siede a fianco e viaggia insieme a noi.
Siamo noi che non sappiamo eliminare le distrazioni per con- centrarci su quello che conta, distinguere i bisogni fittizi da quelli reali, dire di no agli altri per prioritizzare noi stessi.
Quello che ci capita è infatti determinato dalla nostra capacità di allineare le azioni di tutti i giorni con i nostri valori personali. Essere nel posto giusto al momento giusto non è questione di fortuna, ma di perseveranza, ostinazione e disciplina, ed è possibile solo se hai chiaro da dove parti e dove vuoi arrivare.
Se pensi che la colpa sia degli altri, o che tu non possa agire differentemente, sei solo vittima del programma di distrazione che inietta nel tuo cervello certi dogmi per impedirti di ragionare.
Abbiamo tutto a portata di click — o di tap — e, siccome il nostro cervello è pigro, esso opta regolarmente per processare subito quegli stimoli a cui può rispondere comprando una nuova camicia su Amazon o facendosi gli affari degli altri su Facebook. Così capita che non ci rimanga tempo per le cose che definiamo impor- tanti. Siamo così distratti che non siamo più capaci di distinguere l’urgenza dall’importanza, con il risultato che sempre più spesso ci ritroviamo a ripetere “non ho tempo” o “non ho avuto tempo” per attività che sono senz’altro più importanti di quelle a cui ci siamo dedicati. Spendiamo mediamente tre giorni di lavoro al mese leggendo quello che l’algoritmo di Facebook ritiene più opportuno mostrarci2 per tenerci all’interno del social network, farci tornare dentro quanto prima e interagire con le inserzioni pubblicitarie con cui aziende e amici (sigh!) ci hanno targettizzato. Più di due ore al giorno le dedichiamo al nostro smartphone3, interagendo con una dozzina di app fra le centinaia che abbiamo installato pensando che prima o poi ci sarebbero servite, e ricevendo una cinquantina di notifiche push. Siamo iscritti a diverse newsletter, abbiamo tre o più caselle di posta elettronica e riceviamo mediamente 23 email al giorno. Un professionista che utilizzi l’email come strumento di lavoro arriva a ricevere in media oltre 120 messaggi al giorno, parzialmente processati fuori dal proprio orario di lavoro.
La tecnologia, anziché semplificarci la vita, ci ha resi il nostro peggior nemico. Se non ci prestiamo attenzione, ci ritroviamo a vivere la vita che altri hanno programmato per noi anziché preoccuparci dei nostri ideali, dei nostri valori e delle nostre passioni.