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I cavalieri del Principe Nero

M.G.L. Valentini

Klagenfurt, primavera 1330

Werner allungò l’indice verso il viso del bambino addormentato nella culla e accarezzò le guance paffute, ricevendo in cambio un pallido sorriso che ebbe il potere di scaldargli il cuore. Sorrise a sua volta ancora incredulo di fronte a questa nuova paternità.

Il bambino, il suo erede, aveva già una settimana e cresceva sano e robusto, almeno in apparenza. Il precedente bimbo che sua moglie gli aveva dato era morto dopo pochi mesi di vita, lasciando un vuoto che forse questo nuovo figlio sarebbe riuscito a colmare. Tutto dipendeva dal volere di Dio: se Egli gradiva il piccolo, allora gli avrebbe donato una lunga vita mentre se non l’avesse gradito nulla sarebbe valso a salvarlo.

Scacciò quei foschi pensieri e continuò ad accarezzare le guance del piccolo illuminate dai raggi del sole che filtravano dai vetri delle bifore, ripromettendosi di frequentare più spesso la Chiesa del Signore e di fare offerte senza storcere la bocca.

Di sicuro, se avesse pregato con maggior sentimento e avesse partecipato a più liturgie e processioni, il Signore avrebbe avuto un occhio di riguardo per il piccolo Lothar.

Anche sua moglie ne era convinta e lei stessa, ogni giorno, quando si recava in cattedrale per la funzione dell’ora prima, accendeva un cero alla Madonna, affinché Ella intercedesse per la preziosa vita del figlio.

Infastidito dalle carezze, il piccolo aprì gli occhi e fissò il padre come a volerlo rimproverare di averlo disturbato. Werner sorrise e gli fece uno sberleffo per indurlo a ridere con il solo risultato che il bambino, strizzato in modo innaturale nelle bende che gli coprivano quasi l’intero corpo, iniziò a piangere emettendo degli acuti insopportabili.

«Oh, no! Non così!»

L’esclamazione lo colse di sorpresa e Werner si girò verso la porta della camera da dove era entrata una donna, splendida e altera, seguita da due ancelle e dalla nutrice.

La dama avanzò risoluta fino a prendere in braccio il piccolo e a stringerlo al petto, cercando di rabbonirlo per farlo tornare a dormire, mormorandogli parole dolci e sussurrando una ninna nanna.

Il conte guardò sua moglie con cipiglio, irritato perché gli aveva fatto fare una brutta figura dinanzi alle altre donne sminuendo la sua autorità di signore di Klagenfurt e comportandosi come se fosse stata lei la padrona.

Ildegarde, avvertendo lo scontento del marito, lo fissò a sua volta, come a volerlo sfidare e lui, di fronte a quegli occhi che gli infiammavano il corpo, non riuscì a mantenere un atteggiamento di scostante superiorità.

Lui, il conte, discendente di un ramo cadetto degli Asburgo-Laufenburg vantava sangue degli Hohenstaufen nelle vene ma, dinanzi alla moglie diveniva mansueto, incapace di portarle rancore. E lei ne approfittava, riuscendo a ottenere un po' di libertà in più rispetto alle altre donne del suo rango.

La nutrice si avvicinò sospirando, prosperosa nell’abito che le stava un po’ troppo aderente e che mostrava le forme generose lasciate dalle numerose gravidanze, e prese in braccio il bambino per poterlo allattare.

«Mio signore,» disse Ildegarde, puntando lo sguardo da cerbiatta sul marito, «fareste meglio a lasciarci in intimità, visto che Lothar ha fame.»

Werner parve scuotersi dal torpore e sbatté le palpebre prima di girarsi verso la balia. La vide seduta su uno sgabello con il piccolo in braccio che ancora piangeva, mentre le ancelle si stavano dando da fare per rendere la stanza più calda e accogliente per il bambino.

Una delle due stava togliendo la paglia dal pavimento di pietra per metterne di fresca, l’altra era indaffarata a ravvivare il camino.

«Bene.» mormorò Werner tornando a guardare il volto angelico della moglie. «Mia signora, vi attendo nel salone per la cena.»

Ildegarde inclinò appena la testa, circondata da un soggolo verde smeraldo, e annuì sorridendo. Quindi, dolcemente ma con fermezza, accompagnò il marito alla porta per far sì che la nutrice si sentisse libera di allattare.

Venezia, primavera 1330

Il bimbo guardò nella culla e, alla traballante luce delle candele poste sul lampadario, osservò il fratellino nato da pochi giorni fasciato come una mummia e addormentato.

Tutti dicevano che era bello e roseo di guance, sano e gagliardo ma lui non ci vedeva niente di così strabiliante e attraente; anzi, era proprio brutto, con il viso scuro tutto raggrinzito e le mani, chiuse a pugno, che parevano due moncherini.

«Allora?»

Il bambino alzò lo sguardo e vide sua madre, seduta su una sedia che sorrideva benevola e speranzosa, e sospirò, non sapendo se dire la verità.

«Ecco… Sono certo che diventerà bello e forte come me.»

Eleonora apprezzò la diplomazia del primogenito e sorrise.

«Bello lo sarà di certo, forte non lo sapremo, dato che per divenire prete non occorre fisico prestante. Il forte di casa sei tu, che diventerai un gran cavaliere e onorerai la tua famiglia.»

«Gli Zen saranno fieri di me.» rispose lui gonfiando il petto.

Eleonora annuì; riponeva grande fiducia in quel bambino di due anni destinato, come da tradizione, alla carriera militare. E loro, discendenti della nobile famiglia del doge Ranieri Zen, dei nobili della Scala e Roccagelata, non potevano esimersi dal consacrare i loro figli al bene e alla grandezza della Serenissima.

Ludovico, il nuovo arrivato, avrebbe intrapreso la carriera ecclesiastica e, se possibile, gli avrebbero comprato un remunerativo cappello cardinalizio, procurandogli un posto tra i principi della Chiesa.

E chissà, magari un giorno sarebbe potuto diventare papa.

Un lieve bussare alla porta distolse Eleonora dalle sue fantasticherie a occhi aperti; un attimo dopo entrò il marito, rubicondo e solare in abito rosso sgargiante. Lasciati i servi davanti alla porta, l'uomo si avvicinò alla culla per osservare il neonato.

«Quale immensa gioia per un padre!» esclamò felice, accarezzando una guancia del piccolo.

Il bimbo si mosse appena e continuò a dormire indifferente a tutto ciò che gli accadeva intorno, ubbidiente solo al suo istinto di sopravvivenza.

«Mi onorate, mio signore.» rispose Eleonora, soddisfatta.

«E voi onorate me, mia cara, donandomi questi due bellissimi figli che continueranno la nobile discendenza Zen.» ribadì l'uomo con un sorriso solare, scarmigliando i capelli del primogenito.

«Voi pensate che…» azzardò Eleonora a bassa voce, «che forse il Santo Padre possa benedire questo nostro figlio, come ha fatto con il primo?»

Francesco corrugò le sopracciglia e dopo un attimo di esitazione rispose:

«Manderò un corriere ad Avignone, se questo vi farà piacere.»

«Grazie!» esclamò lei illuminandosi e congiungendo le mani. «Avere la benedizione papale significa molto per me.»

«E l’avrete. Farò tutto quanto in mio potere per accontentarvi, dovessi andare di persona ad Avignone.»

«Padre,» chiamò il figlio guardandolo dal basso verso l’alto, «avevate promesso di mostrarmi le scuderie dove ci sono i nuovi cavalli.»

Francesco sorrise a quel bambino che si atteggiava a grande, scambiò un’occhiata d'intesa con la moglie e si accarezzò un baffo, facendo finta di cercare nella memoria.

«Sì, hai proprio ragione: ho promesso. Andiamo dunque a vedere i nuovi cavalli.»

«E me ne regalerete uno?» chiese il piccolo speranzoso, gli occhi luccicanti come stelle.

Il padre lo prese per mano e, dopo aver salutato Eleonora, uscendo dalla stanza rispose:

«Vedremo… Vedremo…»

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I cavalieri del Principe Nero

M.G.L. Valentini

I cavalieri del Principe Nero
Leggi l'anteprima

Ludovico e Lothar combattono su fronti avversi durante la guerra dei Cento Anni, prima di incontrarsi e diventare amici. Ambedue figli di nobili natali, rinunciano al titolo per militare sotto le insegne di Edoardo, il Principe Nero, erede al trono d'Inghilterra.

A Bordeaux mettono radici e Ludovico, impenitente donnaiolo, si innamora di Jeanne, mentre Lothar fa di tutto per dimenticare la notte trascorsa con Edoardo prima di lasciare Londra. Ma quando l'erede sbarca a Bordeaux per riprendere le ostilità contro i francesi, entrambi si rendono conto che il fuoco di una notte di passione non è svanito.

L'autrice

mgl valentini

Monica Maria Giovanna Lucrezia Valentini, vive a Roma con il marito e il figlio, ma nasce a Nettuno, teatro dello sbarco alleato del 1944 e da piccola giocava nel cimitero americano. Da brava nettunese ama il baseball, sport che per nove anni il figlio ha praticato. Ama da sempre il Giappone, ha una cognata giapponese e un nipote italo nipponico.
È cresciuta unica femmina in mezzo a comitive di ragazzi e forse per questo si sente un maschiaccio mancato. Non a caso per anni ha praticato judō, sport a lei più congeniale della danza classica verso cui l’aveva indirizzata sua madre. Di sé dice che quando Dio distribuiva la femminilità, lei era intenta a indossare catene e lucchetti da brava metallara. Da ragazzina scopre la passione per la Formula 1, tanto da correre sui kart, con gran disperazione del padre.
È un arciere medievale, fa parte degli Ordo Draconis e tira con il longbow storico. Tra le sue passioni, infatti, si impone la Storia.
Il suo primo romanzo, "Cristalli", lo ha scritto a diciannove anni.
Il metal e il rock sono le colonne sonore che accompagnano tutti i suoi scritti.

Il suo sito web

Perché l'abbiamo scelto

Le passioni e il coraggio dei cavalieri del Principe Nero sono gli elementi che guidano il lettore in questo romanzo storico. La Guerra dei Cent’anni è lo sfondo delle gesta e delle sofferenze dei protagonisti che compiono i loro doveri cavallereschi in un’Europa tormentata da battaglie e dalla peste. Un connubio che l'autrice ci propone in un mix gradevole, ben costruito e altrettanto bene presentato al lettore.

La sua penna delicata e scorrevole rende infatti vivi i personaggi fin quasi a percepirne il battito dei cuori e le vibrazioni dei muscoli che si preparano alle battaglie. Appena si fa amicizia con Edoardo, Lothar e Ludovico, non si smetterebbe di leggere pagina dopo pagine per scoprirne il destino!