La Predatrice
Norma Tarditi
1 Un nuovo inizio
Lo so benissimo che aprire gli occhi e guardare per l’ennesima volta l’orologio non è di nessuna utilità, eppure è più forte di me: l’1.57; sono esattamente due ore e quarantatré minuti che cerco inutilmente di dormire. Mi giro di nuovo sul fianco e mi perdo un attimo ad osservare la tenda che ondeggia appena, mossa da un soffio d’aria che entra dalla finestra aperta, portando in camera le ultime tracce di profumo del gelsomino notturno. Il gufo lancia il suo richiamo dalla magnolia. Il campanile suona i due rintocchi. D’accordo… rinuncio ufficialmente a dormire.
Scendo dal letto, recupero la vestaglia per difendermi dalle punture delle zanzare ancora agguerrite, e a piedi nudi salgo le scale della soffitta. C’è buio, ma lo scatolone dei libri vecchi dovrebbe essere ancora sotto l’abbaino dall’ultima volta; procedo a tentoni e… eccolo! Lo trovo sfiorandolo con una mano. Ci salgo sopra, faccio scattare il chiavistello della finestra e mi arrampico sul tetto. Vado a sedermi al mio solito posto, con la schiena contro il comignolo.
La Luna questa notte non c’è: è il suo terzo giorno e sta facendo il suo viaggio insieme al Sole; dovrò avere ancora qualche giorno di pazienza per vederla, ma già sento che sta crescendo, me lo dice la mia pelle. Come sempre penso a loro come a due eterni, sfortunati innamorati, che si ritrovano ogni volta per brevi periodi, per poi perdersi di nuovo inesorabilmente, nel loro infinito rincorrersi.
L’aria tiepida mi accarezza il viso; rannicchio le gambe avvicinandole al petto e ci faccio scivolare sopra la vestaglia. Dall’alto del mio trespolo lascio vagare lo sguardo tutto attorno a me.
La nostra casa si può senza dubbio definire isolata: l’unica altra costruzione che riesco a vedere da quassù è il campanile della chiesa di quella che pomposamente tutti chiamiamo “città”, ma che secondo me si sentirebbe molto più a suo agio ad essere definita “paese”. Comunque, la “città” rimane interamente nascosta dalla collina a sud rispetto alla casa, e posso supporre che le cose resteranno così per un bel po’, visto che è proprio là sulla cima di quella collinetta che passa il muro in pietra che divide la nostra proprietà dal resto del mondo. Alle mie spalle, invece, dopo una cinquantina di metri di pendio dolce, punteggiato da ciuffi di ginestre ormai quasi del tutto sfiorite, inizia il bosco, praticamente irraggiungibile da qualunque posto che non sia casa mia, e comunque troppo lontano dalla città per essere appetibile da chiunque non desideri vivere in un eremo.
Non ci possiamo definire ricchi, o meglio non quel genere di ricchi che va in giro con auto supercostose e vestiti il cui prezzo sfamerebbe intere famiglie per settimane. Suppongo che “benestanti” possa essere il termine corretto: possediamo questa casa, grande più che abbastanza per ospitare assai comodamente me, il mio gemello Lorenzo, la mia sorellina Verdiana, i miei genitori e nonna Viviana; in più c’è tutto il terreno intorno. Non una cosa proprio comune in effetti…
L’intero pacchetto però fa parte della mia famiglia… beh praticamente da sempre, da quando cioè un qualche bis-bis-nonno Borghese ha scelto questo posto per farci la sua fattoria, e da allora, almeno che io sappia, tutti i discendenti con i loro rispettivi coniugi e animali sono sempre vissuti qui. In ogni caso, per mantenere tutta la baracca entrambi i miei genitori lavorano in paese; pardon: città! Mio padre sfrutta le sue doti facendo il veterinario, e mia madre credo venga definita erborista dai suoi clienti. La nonna, che fino a qualche anno fa si occupava del negozio con lei, ora si dedica principalmente a raccogliere, sminuzzare, sgranare e seccare le erbe, e svolge il suo ruolo di “enciclopedia del sapere” da casa. Nonostante tutto l’età avanza anche per lei.
Sento la finestra cigolare sui cardini; non ho bisogno di girarmi per sapere che è Lorenzo.
“Hey!” mi saluta, arrampicandosi per raggiungermi. “Posso?” mi chiede, come se dovesse accomodarsi sul mio divano, invece che appollaiarsi sulle tegole.
“Accomodati” lo invito, facendogli un po’ di spazio alla mia sinistra perché possa appoggiare anche lui la schiena. “Allora domani è il grande giorno eh?” Sospiro.
“Già…”
Rimane in silenzio per un attimo prima di chiedermelo; non ne abbiamo ancora parlato, non io e lui da soli almeno. “Hai paura?”
Mi volto a guardare il suo viso, una volta identico al mio. Negli ultimi anni i suoi tratti sono diventati marcati, la mascella ben delineata, quasi squadrata, con un accenno di barba bionda che sembra quasi bianca a confronto con la pelle abbronzata. Il mio viso al contrario crescendo si è affinato, ha preso la forma di un ovale delicato, con un naso affilato un po’ da gatto, come dice mia mamma, gli zigomi ben definiti e due belle labbra piene che quando sorrido lasciano scoperti i denti leggermente storti. Mio padre d’altra parte cura ferite e malattie, non problemi estetici…
Incrocio il suo sguardo; almeno i nostri occhi sono rimasti gli stessi, due paia di identici occhi azzurro ghiaccio: iridi chiarissime all’interno, bordate da una sottile linea grigia acciaio. Gli occhi degli Antichi.
“Non lo so; no… sì… Beh ok, un pochino sì.” Accenna un sorriso.
“È tantissimo che non succedono più incidenti” commenta.
Gli “incidenti” di cui parla risalgono in effetti a diversi anni fa. Si tratta di episodi durante i quali per una ragione o per l’altra ho perso il controllo su di me e sono capitate cose indipendenti dalla mia volontà. Non che ci sia molto da stupirsi: sono un’Anima Antica in fin dei conti, o un’Antica, come diciamo noi, e anche particolarmente potente a quanto pare.
Gli Antichi sono esseri, spiriti, anime, o comunque li si voglia chiamare, che esistono su questa Terra da secoli, alcuni addirittura da millenni. Queste anime si reincarnano ogni volta, ed hanno la capacità di serbare i ricordi delle conoscenze apprese in passato, per utilizzarle ed approfondirle nel corso dell’esistenza presente. Dovendo dare una definizione dal punto di vista di un’Anima Nuova, un umano qualunque insomma, che vive un’unica esistenza, queste conoscenze si tradurrebbero in “poteri soprannaturali”, anche se in realtà di soprannaturale non c’è proprio nulla: tutte le nostre abilità derivano da Madre Natura, e sono ad essa collegate.
All’interno della mia famiglia siamo praticamente tutti Antichi; non è raro: le nostre anime esercitano una sorta di potere di attrazione tra di loro, che fa sì che nasciamo in genere da altri Antichi. I pochi di noi che nascono da due Anime Nuove, come ad esempio mia madre, è facile che vengano attratti crescendo da altri Antichi, a cui finiscono per legarsi.
Oltre ad una serie di abilità comuni, ognuno di noi è dotato di poteri particolari, che ci distinguono gli uni dagli altri classificandoci in diverse categorie. Mio padre per esempio è un Guaritore, mentre mia nonna è un’Erbaria: ha la capacità di far crescere e prosperare le piante. Si tratta di abilità manifestatesi chissà quante esistenze fa, che in ogni vita si sono sviluppate e approfondite, e che hanno ormai raggiunto livelli tali da risultare “magiche” agli occhi delle Anime Nuove. Il numero di vite già vissute determina l’entità del nostro potere, e il nostro grado di controllo su di esso. Ad esempio anche mia madre è un’Erbaria, ma le sue capacità non sono neanche paragonabili a quelle di mia nonna, e la ragione è un numero molto minore di incarnazioni attraverso cui è passata la sua anima.
Alcuni poteri, come quelli dei miei genitori, sono più diffusi, altri invece sono piuttosto rari, come quelli di noi tre fratelli e del marito della nonna; di quasi quindici anni più anziano di lei, è morto due anni fa, alla veneranda età di novantasei anni. Lui era un abilissimo Mutaforma: era in grado di assumere le sembianze di qualunque felino a suo piacimento. È grazie a lui se ho passato l’infanzia a scorrazzare a cavallo di tigri e rincorrere ghepardi.
La mia sorellina Verdiana è una Precognitiva, un’abilità non rarissima di per sé, ma piuttosto inconsueta nella forma sviluppata da lei: toccando una persona sa dire esattamente quale sarà la causa della sua morte. Un po’ macabra come capacità, ma non è male. Certo, con i membri della mia famiglia non c’è molto da rivelare: gli Antichi tendono a vivere fino a tarda età, essendo particolarmente forti di costituzione e vivendo principalmente secondo stili di vita naturali. In più con un Guaritore molto sviluppato i rischi di morte prematura sono circoscritti a catastrofici incidenti stradali e ferite mortali da arma da fuoco. Infatti la “diagnosi” di Verdiana è sempre per quasi tutti noi morte di vecchiaia.
Dico “quasi” perché con me non è riuscita a vedere nulla di nulla: da quando è riemerso il suo potere, lo ha esercitato ogni giorno su ognuno di noi (il futuro non è affatto una scienza esatta: una singola decisione potrebbe sconvolgere tutto, pertanto è meglio essere sempre preparati), ma mai, neanche una volta, è riuscita a vedere nemmeno un barlume di qualcosa con me. Non siamo ancora riusciti a capire il perché.
Mio fratello Lorenzo è un Manipolatore: può modificare lo scorrere del tempo. Può fermarlo ed accelerarlo leggermente, e si sta attualmente concentrando sul tornare indietro, ma si tratta di un’attività che richiede un enorme consumo di energia.
Ognuna delle azioni che compiamo nell’esercizio delle nostre rispettive arti, infatti, comporta un costo in termini di energia interiore, esattamente come fare una corsa comporta un consumo di zuccheri e grassi. Noi Antichi siamo creature legate alla Luna, ed è grazie a lei se ogni ventotto giorni, al Plenilunio, possiamo ricaricare la nostra riserva energetica. Pertanto è decisamente sconsigliato dare fondo alle scorte in prossimità della Luna Nuova, se non si vuole rimanere a secco per le due settimane successive.
E qui entro in gioco io: Gaia, diciassette anni, capelli biondi, una spruzzata di lentiggini sul naso, Predatrice.