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I dimenticati

Roberto Bolognesi

Erano arrivate in fondo alla strada, fermandosi prima della pensilina degli autobus. Non c’era nessuno, eccetto un vecchio che leggeva un libro.

L’infermiera le lasciò il braccio sinistro. Lei ondeggiò un secondo, come assestandosi. Non aveva aperto bocca per tutto il tragitto. Fra le braccia stringeva il suo fagotto personale.

“Mi raccomando, non perdere i documenti. E ricorda: qua dentro hai la tua carta d’identità, i panni puliti compresa la biancheria, i soldi e il biglietto per Pisa. Ripetilo”.

“I panni puliti… la biancheria… il biglietto per Pisa” ripeté la donna.

La ragazza sospirò un po’ scocciata.

“La carta d’identità e i soldi” aggiunse.

L’altra fece cenno di sì.

Ci si era affezionata un po’, l’infermiera. Quasi si sentiva in colpa a lasciarla lì sola, ma non poteva farci nulla. Adesso i ‘malati’ dovevano farsi una vita reale come tutti.

La guardò un’ultima volta. Le avevano fatto indossare una camicetta bianca, jeans di seconda mano e mocassini logori. Si chiedeva dove sarebbe andata, una così.

La salutò, posandole una mano sulla spalla. Lei allora si girò e sollevò lo sguardo. Era la prima volta che la guardava in quel modo. Non avevano niente di che, i suoi occhi. Dicevano semplicemente “dove andrò?” oppure “Che posto è questo?”. Forse era quel momento in cui le sensazioni a lungo represse ricevevano nuova luce. Disarmata, l’infermiera si affrettò ad andarsene senza aggiungere altro.

La donna tornò a guardare avanti, poi iniziò a camminare verso la pensilina. Scoprì che le piaceva il rumore delle scarpe sulla strada assolata. Anche i fiori di un balcone in lontananza le sembravano belli. Camminava con la testa bassa, lasciando che il sole cocesse i suoi capelli rossicci e radi. Era bello, quel calore.

Si fermò di fronte alla panchina, roteò i piedi sul posto mettendosi come di guardia alla strada. Aveva un vuoto mentale che neanche quel mondo nuovo, in cui s’era appena affacciata, poteva contrastare. Ripensò alle parole dell’infermiera. Pisa. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che aveva passeggiato sul lungarno? E poi questi abiti strani che portava? Si sentiva agitata.

“Venga qui all’ombra” le fece il vecchio.

Quella frase incrinò la sua stasi come un sasso contro un vetro. Era un uomo, per giunta uno sconosciuto; meglio non rispondergli.

“Prenderà un’insolazione, signorina” aggiunse l’anziano.

Non sapeva cosa fosse l’insolazione, ma la parola aveva un suono sinistro. Decise di voltarsi. L’uomo, seduto con un libro sulle ginocchia, la guardava strizzando gli occhi per il riverbero del sole.

“Non la mangio mica. C’è posto anche per lei, qui”.

Quella voce rauca aveva un sapore paterno. Ispirava fiducia. Scrutò quel viso rugoso, con gli occhi nascosti dall’ombra creata dalla tesa del cappello. Andò a sedersi. Subito dopo si distanziò qualche centimetro da lui e strinse di nuovo il fagotto. Sollevò ancora una volta lo sguardo sul cielo rovente, in attesa dell’autobus.

Stava ascoltando il canto delle cicale che impazzava dappertutto, quando l’anziano le fece una domanda:

“Va a Pisa dai parenti? No perché qui passa solo l’autobus per Pisa”.

Quella parola aveva perduto di significato, per lei. Chi erano i parenti? Cosa doveva rispondere?

Attese qualche secondo. Il respiro del vecchio era come un vecchio mantice e scandiva quell’interminabile tempo.

“Non lo so”.

L’uomo trattenne un sorriso.

“Come non lo sa?”.

“Io non so se ho parenti… Qualcuno che mi aspetta”.

Era vecchio, sì. E come molti in età avanzata riusciva a vedere bene ciò che non conosceva. Quella donna aveva un brutto passato e non sapeva dove andare. Probabile che l’avessero espulsa dal manicomio della città, chissà…

“Mi scusi se glielo chiedo… Ma cosa va a fare a Pisa, allora?”.

“Sono di Pisa” mormorò lei.

“Ah, ora ho capito” replicò “Se ne torna a casa sua”.

Lei annuì. Lo sguardo sempre fermo davanti a sé. Le cicale cantavano colmando quei silenzi fatti di vita.

Il suo interlocutore non sapeva cosa pensare ma, allo stesso tempo, era incuriosito da quella misteriosa passante. Aveva l’età per essere sua figlia. Gli faceva una gran pena, avrebbe voluto darle qualcosa, aiutarla, tuttavia temeva se ne risentisse.

Nel tempo che pensava a tutto questo fingeva di leggere, dandole un’occhiata ogni tanto da sotto il cappello.

Sopraggiunse il rombo di un motore. Il vecchio lanciò uno sguardo in direzione della strada, ma quando capì che era un’auto tornò ad appoggiarsi allo schienale della panchina. Niente pullman. Dopo qualche secondo, infatti, una Giulietta sfrecciò per poi sparire dietro le mura del paese.

La rapidità della macchina sembrò accelerare la sua voglia di interagire con la sconosciuta, il pensiero che l’autobus gliela avrebbe portata via da un momento all’altro gli mise addosso una certa ansia. Doveva agire.

“Le piacciono i libri?”.

La vide respirare profondamente e sbattere le ciglia.

“Qualche volta ci facevano leggere”.

“E a lei piaceva? Quali libri sceglieva?”.

Come prima, la risposta si fece attendere. Ormai l’anziano aveva capito che, in certi casi, sono loro a portare pazienza con i giovani. Non le mise fretta.

“Ho letto la Bibbia e di Gesù. Per il resto ci facevano praticare lavori di ricamo e cucito”.

“Interessante. Una vera donna di casa, lei”.

Il complimento del vecchio la colpì, scivolando subito via come sabbia bagnata su un muro.

“Dovrebbe leggere questo”.

Stavolta gli parve di intravedere un cenno della testa. Forse aveva suscitato finalmente la sua attenzione. Spostò il libro verso di lei, in modo che vedesse la copertina.

“Sono preghiere” spiegò “Una forma particolare di preghiera. Diciamo che alcune sono poesie sul senso della vita”.

A quel punto la donna si girò, guardando il libro. Sulla copertina verde scura comparivano il titolo e l’autore in caratteri dorati. Le sembrò qualcosa di cupo, proprio ciò di cui non aveva bisogno in quel momento. Stava assaporando il mondo, ogni respiro le restituiva un pezzo di vita. Distolse lo sguardo.

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I dimenticati

Roberto Bolognesi

I dimenticati
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«Mamma! Mamma! Dove sei? Non lasciarmi con loro!». È il grido disperato del piccolo Ginetto, mentre due uomini lo trascinano in macchina. Ha dodici anni e non rivedrà più sua madre. Casa sua sarà una stanza in un manicomio toscano, in mezzo ai folli e agli abbandonati. Per trent'anni sarà anche lui uno di loro, finché un bel giorno uscirà a cercare la mamma che lo aveva rifiutato. Anche Ottavia è una ragazza che passerà decenni fra le mura di un istituto che non ha nulla di umano, niente che possa curare i veri malati. Rinchiusa perché la famiglia non la voleva. E Alberto che verrà trascinato verso lo stesso destino con l'inganno, condannato a perdere lentamente la ragione.

Le loro sofferenze hanno lasciato traccia nelle lettere che queste persone scrivevano. Vi sono rimasti impressi i loro pensieri, le loro paure, i tentativi di cercare un contatto con le famiglie senza sapere che nessuno le avrebbe mai lette. Ciò che ne risulta è un resoconto toccante e tragico, un vero monito contro la violenza sugli esseri umani.

L'autore

Roberto Bolognesi (Massa Marittima, 1982) ha esordito con il romanzo L’infelice (2002, Michele di Salvo Editore); hanno seguito Il cuore perduto (2004), Daemonium (2006, finalista al concorso “Jacques Prévert 2010”), Le rovine illuminate (2007, diploma di merito al concorso “Jacques Prévert 2010”), Tra due mondi (2009), Fugace (2010), Fino all’ultimo respiro (2010), Gott mit uns (2012, diploma d’onore con menzione d’encomio al concorso “Michelangelo Buonarroti” 2019), Postumano (2013), Il filo rosso (2014), Chi sei? (2015), Il sapore della fine (2015), Origini (2016), Gli uccelli dalle ali di cenere (2018), I dimenticati (2019) e Melodia (2019).

Il suo sito web


Perché l'abbiamo scelto

L'umanità che Bolognesi racconta in questo libro colpisce non solo per la drammaticità delle storie personali, ma soprattutto per la veridicità, che sa accendere una luce su un capitolo della nostra storia oscuro ai più.

La forma epistolare che compone la gran parte del testo, aggiunge poi un tocco sapiente alla narrazione, portando il lettore non solo dentro le vicende dei protagonisti, ma dentro i loro pensieri, restituendo sempre un tocco di realtà. Realtà che è accresciuta dall'uso sapiente del linguaggio che l'autore fa, sempre allineato al livello culturale della voce narrante.

Un romanzo insomma che, nella sua brevità, coinvolge e fa riflettere.