Globus
Roberta La Rocca
Allarme.
Corre, corre, l'affanno della fuga è tutto ciò che esiste per lui, l'energia che fluisce, il motore al massimo, l'urgenza di allontanarsi dall'incomprensibile tremore che lo ha avvolto, dalla stretta che ha annichilito i suoi fratelli, la sua casa, ogni frutto delle loro fatiche.
Un infinito presente di sbandamenti, di polvere che gli oscura la visuale, di scossoni e violenti contraccolpi che fanno gemere l'intera sua struttura, lo scheletro metallico, pur elastico, che bene ha servito per un lavoro pesante per sette decenni.
Le piccole ruote non sono state progettate per correre veloci sulla roccia tagliente e sconnessa, gli ammortizzatori stanno cedendo anche se lui viaggia senza carico. Perde aderenza, le ruote posteriori sgommano e scivolano, spruzzano nel baratro una gragnola di sassolini, pietruzze che cadono dritte nel cuore del mondo.
Corre incontro al lucore dell'alba, a quella pallida promessa del giorno come se davvero potesse raggiungere il sole. Ma è così fievole l'alba, lontana lontana, stretta tra le pareti a picco di Faspath.
E Zerafia dov'è?
L'ha oltrepassata, ormai. L'ha superata senza accorgersene. Ha perso l'orientamento e si è spostato troppo in alto, alla ricerca di un percorso sulla scoscesa parete verticale della fenditura, è andato troppo vicino al bordo, alla superficie. Così non l'ha vista, la città di Zerafia accoccolata laggiù, una lunga balconata in perenne ombra, dove si ode di continuo il canto di acqua che scorre e il vento umido che salendo dalle fauci dell'abisso nutre gli abitanti albini.
Ma lui non deve dirigersi a Zerafia. Non c'è mai stato, non è previsto che ci debba andare. Perché gli è parso di doverlo fare? È solo il centro abitato più vicino alla miniera. Ma gli abitanti di quel luogo non hanno niente a che fare né con l'impianto né con lui.
Perché continua a pensarci, a distrarsi?
Registrazioni particolareggiate di tutta l'area e delle forme di vita che vi si trovano sono a disposizione nelle sue banche dati, e tra queste anche immagini di Zerafia prese a una certa distanza. Ma il pensiero della città-fungo causa una perturbazione inspiegabile nel funzionamento dei suoi processori. Gli è quasi doloroso allontanarsi…
Clang!
Un parafango si è staccato, strappato via dall'urto contro uno spuntone di pietra rosso arancio, aguzzo come la punta di una gigantesca matita. Il frammento di metallo verniciato cade, precipita nel vuoto; è un attimo, lui lo intravvede appena ed è sparito. Una maniglia è già saltata via nei primi minuti di fuga, quando il protocollo di emergenza si è attivato inducendolo ad abbandonare il lavoro.
Suo malgrado, la registrazione degli eventi che si ripresenta ai suoi processori logici balza in testa alle priorità, accecandolo per un istante.
Le vibropompe che uggiolano per lo sforzo non previsto, del tutto al di là delle loro capacità, di tenere aperte le gallerie contro la pressione crescente. La loro voce tremolante aumenta fino a divenire un urlo acuto. Lo schianto colossale con cui cedono, una per una. Il rombo delle tonnellate di roccia che si riprendono il loro spazio, la terra che si muove a mordere, a stringere…
Esclude la registrazione. Non è importante adesso per lui, saranno i padroni a esaminarla. Il suo incarico è portargliela.
Macina miglia su miglia, sulle ruote svergolate, lasciando strati di vernice contro la parete abrasiva, consumando guarnizioni e cinghie.
Le luci dell'impianto, dalle piste, alle piattaforme e gli scivoli di scarico, tremolano con un ronzio, sfarfallano fino a spegnersi in una tempesta di scintille…
Basta. I padroni. Devono sapere. Un obiettivo, nessuna distrazione.
Il pericolo che ha distrutto la miniera sta correndo verso di loro.
Zerafia non c'entra nulla.
Il cielo si schiarisce, la striscia verticale tra le pareti di Faspath si tinge di ori e di rosa, il primo raggio di sole lo colpisce dritto nelle lenti, lo abbaglia in una parata di arcobaleni.
Triangola la sua posizione per sicurezza. Si trova sulla parete nord dell'abisso, viaggia sfidando un terreno ostico che lo costringe a muoversi inclinato di quasi quarantacinque gradi. Ha scelto il percorso più breve, ma forse non è stata una buona idea. E se si fosse diretto invece verso la superficie? Salire lungo la parete fino al bordo, abbandonare la grande fessura Faspath e il suo vuoto infinito.
Ma lui non è programmato per sconfinare in quel mondo piatto lassù, una pianura priva di direzione, la sola idea lo paralizza; non avrebbe dovuto neanche essere capace di pensarci.
Meglio rimanere tra i pericoli che conosce.
C'è qualcosa tra i suoi occhi e il sole appena nato, qualcosa che rifrange la luce moltiplicandola in mille punti di emissione, come un setaccio. Una struttura tesa tra le sponde di Faspath. La sua meta.
Estroflette le zampe per superare un punto ostico, una zona convessa ricoperta di cristalli come punte di lancia irte in tutte le direzioni. Si solleva, devia prima di mettere in pericolo i suoi alberi di trasmissione. Per poco non sprofonda in una vena minerale bianca e liscia, all'apparenza invitante, quasi un sentiero naturale. Inclinandosi con una sgommata, tanto che una ruota si solleva, torna sul terreno sicuro.
Quanti convogli in passato sono caduti vittime di quelle splendenti pozzanghere di vetro lattiginoso, pronto a collassare in miliardi di affilatissime schegge taglienti come rasoi, capaci di ridurre a brandelli anche la gomma dura che riveste le ruote dei veicoli?
Ventidue, lo informa la sua banca dati.
Un incidente comune prima che venisse ultimata la strada per la miniera, quando si badava solo a trovare il percorso più breve. Un incidente neanche tanto grave, se si hanno delle ruote di scorta, dei manutentori pronti a intervenire e tanto tempo da perdere.
Non è così per lui. Ha così poco tempo da non poterne spendere neanche un millisecondo per cercare la strada, ammesso e non concesso che sia praticabile. Perché la strada va su e giù, segue tornanti, è fatta per grossi convogli guidati da persone, che devono fermarsi a punti di ristoro e viaggiare comodi.
Un'altra urgenza lo punge a tradimento. Quanto gli permette ancora la sua autonomia? Fin dove riuscirà ad arrivare?
Non ne è sicuro. Non ha considerato che potrebbe essere impossibile giungere a destinazione.
Un rapido controllo alle batterie, un calcolo approssimativo…
Vede con tre decimi di secondo di ritardo la creatura che spalanca una bocca priva di denti, l'interno roseo come una fodera di seta, un urlo muto levato al cielo. Come ha fatto a non notare le forme globulari che spuntano dalla terra come grosse uova mezzo seppellite? È finito proprio in mezzo ai nidi!
Troppo tardi.
La serpe gemmata scatta per fuggire, ma lui la travolge, la ruota anteriore destra le schiaccia la coda e un istante dopo il suo fianco è colpito dalla testa della bestia, irta di protuberanze smeraldine. Con un fracasso di vetri infranti, il metallo si piega in dentro, gli spunzoni della serpe penetrano in profondità l'acciaio e vi si agganciano.
Lui accelera, sbanda di proposito. Sotto le ruote la ghiaia scoppietta, è tutto un sobbalzo.
Ma non basterà a scrollarsi di dosso la serpe, lo sa. Meglio prepararsi per l'inevitabile, concedendosi finalmente di rallentare. Si appoggia bene a terra, cerca di ancorarsi con le zampe, sta scavando per trovare un saldo appiglio quando la creatura ormai morta esplode.
La deflagrazione è così potente da spezzargli tre dita di una zampa e piegare l'articolazione dell'altra. La sua fiancata destra è una rovina di lamiera deformata. Scariche elettrostatiche disegnano righe grigie nella sua visione del mondo e i sensori di direzione sono più confusi che mai.