Un personaggio che sia ben delineato permetterà al lettore di entrare in sintonia con esso e gli darà la possibilità, attraverso un percorso di crescita psicologica e caratteriale nell’arco della narrazione, di vivere una storia nella storia.
Il dialogo rappresenta, tra le mani dello scrittore, un efficace strumento per compiere questa specie di miracolo della creazione. Purtroppo nel suo utilizzo si celano anche molte insidie. Prima fra tutte è la sua limitatezza nel riprodurre interamente la gamma espressiva della parola parlata.
Quando noi tutti ci esprimiamo, non lo facciamo solo attraverso una scelta ponderata o istintiva di vocaboli, ma mettiamo in campo anche intonazioni di voce, smorfie, pose, sguardi, ecc… Tutte queste esternazioni fisiche rappresentano in effetti il nostro potenziale espressivo. E solo preso tutto assieme esso permette di determinare il reale senso di ciò che stiamo comunicando. In un testo scritto siamo invece limitati alla semplice riproduzione delle parole, accompagnate al limite da qualche affabile descrizione.
Ma anche sulla scelta dei termini siamo vincolati a dei limiti. Non possiamo infatti limitarci a riportare fedelmente un dialogo della vita reale in un contesto narrativo, perché perlopiù non avrebbe senso. O comunque non raggiungerebbe mai il senso vero che desideriamo attribuirgli. Questo accade proprio perché vengono a mancare tutte quelle altre componenti espressive che compongono la normale comunicazione tra esseri umani.
L’autore è quindi obbligato, più che a riportare con fedeltà, a interpretare quelle parole per tradurle in un linguaggio letterario intelligibile che conservi la natura intrinseca del messaggio da veicolare.
È chiaro quindi come l’autore divenga il mezzo attraverso cui i personaggi si esprimono, nel tentativo di restituire al lettore una capacità espressiva che risulti credibile ma al tempo stesso asservita alle logiche alla base della comunicazione.
Come può quindi un autore affrontare questo elaborato processo di interpretazione del dialogo e al tempo stesso restituire credibilità e, soprattutto, una descrizione del personaggio?
Anche in questo contesto il metodo cede alla logica della comfort zone, quindi ogni autore lo affronterà nel modo che ritiene più semplice e adatto al raggiungimento di questi scopi. Qualcuno potrebbe preferire battute più lente, coadiuvate da descrizioni dettagliate. Altri potrebbero prediligere scambi veloci, privi di orpelli descrittivi. Le tecniche sono molte e spesso anche dettate dai ritmi narrativi.
Immaginate due personaggi intenti a disinnescare un ordigno potenzialmente mortale, con un timer che è a una manciata di secondi dal segnare l’inizio della fine. La tensione è alle stelle, la paura dei protagonisti è così viva che voi che leggete iniziate a sudare. Che tipo di dialogo vi aspettate tra i due provetti artificieri? Di sicuro uno troppo lento, con dialoghi lunghi e prolissi, ragionamenti e descrizioni dettagliate sarebbe poco consono. A una scena simile ben si adattano invece battute secche, veloci, con un linguaggio concitato, forse anche un po’ scoordinato.
Quale che sia l’approccio dell’autore, che per inciso verrà perfezionato solo con la pratica, vige una regola che non dovrà essere mai violata. Siccome lui è il mezzo attraverso cui si esprimono i personaggi è fondamentale che rimanga sempre imparziale. Se non impara a prendere le distanze dalle parole, il risultato sarà disastroso. Egli non dovrà mai giudicare i propri personaggi mentre li fa esprimere. Il lettore, in caso contrario, lo noterà subito e non gliela farà passare liscia.
Questo aspetto della scrittura dovrebbe essere scontato, ma il più delle volte non lo è. Chi scrive è spesso coinvolto in ciò che sta raccontando e finisce col far pesare la propria, involontaria ingerenza nell’economia dello scritto, rovinando tutto il lavoro svolto.
Stephen King, intervistato subito dopo l’uscita di 22/11/63, ammise che la prima stesura di quel romanzo risaliva agli anni settanta. Ma resosi conto che la ferita sociale dell’omicidio Kennedy era ancora troppo sanguinante nella sua mente, si fermò. Tenne quella storia in cantiere e ne completò la stesura solo quaranta anni dopo, raggiunto il necessario distacco mentale per proseguire nella narrazione senza il pericolo di infarcire ogni dialogo e ogni opinione dei personaggi col proprio giudizio.
L’autore non è nessuno dei suoi personaggi. Essi possono riflettere qualcosa che è in lui, attraverso quel fantastico processo di elaborazione simbolica che contraddistingue gli esseri umani da qualunque altra creatura vivente. Ma nulla di più.
Nel dare voce a quelle invenzioni letterarie che ambiscono ad essere vive e vere, lo scrittore deve sempre tenere a mente il suo ruolo: egli è un mezzo, uno strumento di elaborazione e interpolazione dalla parola parlata a quella scritta. Egli interpreta e non giudica, anzi prende le distanze più che può e osserva in silenzio, sbirciando al più, con assoluta discrezione, tra le pieghe della narrazione, se proprio non riuscisse a farne a meno.