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Al termine della scrittura, inizia l’attesa

La parola ai nostri autori


articolo di
Andrea Micalone

Arriva il grande giorno.
Dopo mesi di studio, di scrittura, di esaltazione, noia e fatica, abbiamo inserito l’ultimo punto al termine dell’ultima frase del nostro romanzo!

Ora è fondamentale abbandonare il libro. Riponiamolo in un cassetto, andiamo a fare una passeggiata e riempiamoci il cervello con qualsiasi altra cosa che non sia la nostra trama. La tentazione di riprendere subito lo scritto, rileggerlo da capo a piedi e averne così un’idea complessiva, sarà fortissima, ma è bene resisterle.
Questo consiglio, vi piaccia o no, non sono io a darvelo, ma un’enorme quantità di autori celebri che hanno segnato la storia. Insomma, non dovete fidarvi di me, ma di loro.

Appena terminata la prima stesura, infatti, la nostra mente è ancora immersa in quello che ha composto, ne trabocca letteralmente, e tutti i dubbi e i problemi che ci hanno fritto i neuroni nei mesi precedenti saranno ancora insoluti. Per questo, lo ripeto, la cosa migliore è dimenticarsi letteralmente del proprio scritto, non osare neanche rileggerne una frase, e darsi invece anima e corpo ad altre attività.
Il tempo minimo di attesa deve essere almeno di un mese e mezzo.

Poi, trascorso questo tempo, potremo finalmente riaprire il nostro cassetto “dimenticato”.
Nel momento in cui rileggeremo la prima pagina del nostro testo, ci accorgeremo subito della differenza. Quello che prima ci pareva un dilemma, un denso intreccio di parole, un invalicabile problema, diverrà limpidissimo.
Intere pagine (che magari ci erano parse belle, o quantomeno discrete) ci risulteranno orride e da riscrivere completamente; frasi simpatiche che ricordavamo con nostalgia appariranno del tutto fuori luogo; dilemmi di trama insolubili si risolveranno in un batter d’occhio; e, soprattutto, cancelleremo, cancelleremo e cancelleremo periodi a non finire, domandandoci costantemente quale follia ci abbia spinto a concepire certi obbrobri grammaticali (che a loro tempo ci apparirono accettabili, o addirittura gradevoli!).
In sostanza, il distacco ci farà rileggere il testo con uno sguardo “nuovo”, quasi come se fossimo degli estranei indifferenti. Un capitolo che ci era costato ore di sudore, e che dunque non avremmo mai cancellato perché ancora addolorati ed estasiati dal tempo speso in esso, ci balzerà agli occhi proprio per la necessità di essere depennato, e obbediremo a questa sensazione senza battere ciglio (o quasi).

Ecco dunque che ci ritroveremo tra le mani non il “romanzo” che credevamo di aver composto, ma un ammasso di frasi mal coordinate che chiedono disperatamente di essere rielaborate nella loro interezza. Inizieremo così la seconda stesura del tomo, ripeteremo il processo da capo, per poi ritrovarci probabilmente dopo molti mesi (o anche anni) al punto di partenza.

Dopo quante stesure ci potremo ritenere soddisfatti?
Questa è una domanda molto difficile. Non ci sono risposte generali o assolute, e il quesito si lega fortemente al nostro senso della perfezione e dello stile.
Ovviamente molte riscritture dovrebbero portare a un miglioramento del testo (se così non è, preoccupatevi), e dovrà pur arrivare un momento in cui potremo ritenerci soddisfatti (soddisfatti in parte, mai del tutto! L’essere soddisfatti del tutto è indizio di gravi problemi di autocritica, e perciò compromette tutto il discorso).
Dunque, quando?
Quando vi sembrerà quantomeno accettabile.

 

2 thoughts on “Al termine della scrittura, inizia l’attesa

  • nadia Bertolani

    Sì, è veramente necessaria la pausa. Io veramente ne faccio molte anche durante la prima stesura e se qualche critico delle varianti si avvicinasse al mio lavoro si metterebbe le mani nei capelli!

    • Andrea Micalone

      Sì, le prime stesure sono un lavoraccio… ma se dici questo è evidente che fai un ottimo lavoro, poichè sei ben cosciente della fatica che occorre per rendere leggibile quel che si fa! Quindi continua così!

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