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Mostra, non raccontare… o meglio, non spiegare

La parola ai nostri autori


articolo di
Andrea Micalone

Quando si parla di scrittura, prima o poi spunta fuori il famigerato “show, don’t tell”. Letteralmente esso significa “mostra, non raccontare”.

Questo concetto a una spiegazione frettolosa può apparire scontato, ma in realtà, quando si è alle prime armi, è uno dei più difficili da mettere in pratica.

Ma partiamo dalla spiegazione “frettolosa”.

Il consiglio di mostrare la scena è una delle basi della scrittura. In principio, nel raccontare qualcosa (e qui la lingua italiana rende la questione un po’ confusa), tutti siamo portati spontaneamente a spiegarla. In altre parole, poiché temiamo che gli ascoltatori (e i lettori) possano non comprenderci, alla storia aggiungiamo innumerevoli “note illustrative”.

Pensate, ad esempio, a coloro che nella vita di tutti i giorni non sono bravi a raccontare aneddoti, e paragonateli invece a quelli che vi si destreggiano bene. I primi risultano noiosi e verbosi, mentre i secondi spigliati e simpatici.

Capita spesso che i due cerchino però di raccontare una stessa storia. Quante volte, infatti, vi sarà accaduto che, in un gruppo di amici, una persona vi cominciasse a narrare un evento, per poi venire bruscamente interrotta poiché tutti sostenevano che un altro dei presenti la sapesse raccontare meglio. Questa situazione (che di per sé è già la prova che non conta il cosa si racconta, ma come lo si racconta) è illuminante.

Cosa distingue questi due tipi di persone?

Uno racconta il fatto in modo noioso, l’altro invece in modo avvincente e divertente. Il secondo aggiunge sì una battuta, una certa gestualità, e rende il tutto gradevole, ma il primo commette un errore di tipo diverso, che non consiste nella semplice mancanza di battute, ma proprio nell’eccessivo raccontare. Il soggetto noioso (nella maggior parte dei casi) è noioso proprio perché inframmezza alla storia molte spiegazioni, interrompendo il flusso e spezzettando gli eventi. Una scena invece possiede un proprio tempo (comico o drammatico che sia), e spezzarlo è il peggior danno che gli si possa arrecare. Il “pubblico” infatti preferisce di gran lunga perdersi alcuni dettagli (per via di qualche spiegazione in meno), ma godersi la scena, piuttosto che apprendere tutte le sfaccettature del caso, inframmezzate però allo scorrere delle azioni.

Questo esempio è solo un punto di partenza per cominciare a capire cosa significhi “show, don’t tell”. Credo però che arrivati sin qui, capirete da soli perché io preferisca una traduzione meno letterale del concetto, ma più funzionale in italiano, vale a dire: mostra, non spiegare.

La questione, quando si rimane nell’ambito della narrazione di azioni, è intuitiva e non troppo difficoltosa. Tutt’altra storia è quando invece si passa ai sentimenti e alle sensazioni interiori. Qui il discorso tecnicamente rimane invariato, ma praticamente diviene molto più complesso da attuare.

Facciamo un esempio. Possiamo scrivere: “Giulia vide il cane investito e scoppiò a piangere.”

In un caso simile non ho spiegato niente, ho soltanto mostrato l’evento, ma non per questo ho ottenuto l’effetto voluto. A una simile frase il lettore rimane freddo e non avverte quasi nulla della tristezza di Giulia.

Aggiungere spiegazioni aggraverebbe però ulteriormente la situazione, poiché un chiarimento, per quanto preciso e ponderato possa essere, non porterà mai a particolari emozioni e, in altre parole, non farà immedesimare il lettore.

Quello che noi vogliamo è invece proprio questo: far sì che il lettore senta nelle vene lo stesso dolore di Giulia (e se piangerà con lei, vorrà dire che avremo raggiunto il punto definitivo e più alto della scrittura).

Ma come riuscire in un simile scopo?

Mostrando, appunto, e mostrando di più, mostrando al meglio delle nostre forze. Ma non mostrando Giulia, non i suoi lineamenti contratti, i suoi pugni chiusi, le sue spalle tremanti e i suoi singhiozzi (cosa che viene spontanea descrivere quando si è alle prime armi); bensì mostrando la scena che lei ha dinanzi: è lì, in quello che lei vede, che si nasconde la tristezza sconfinata che prova. Se saremo bravi a sufficienza nel descrivere il cane investito, il dolore di Giulia apparirà una conseguenza scontata che quasi non sarà necessario riportare sulla carta.

Non è dunque nel dopo di “Giulia pianse” che dovremo sguinzagliare le nostre abilità di scrittori, ma nel prima, nella scena, nel mostrare le immagini che conducono al pianto, affinché idee e sentimenti sgorghino poi da soli nella mente del lettore.

Come sempre, però, raggiungere un simile scopo richiede anni e anni di tentativi falliti e tecnica, e non si finisce mai di imparare.

 

3 thoughts on “Mostra, non raccontare… o meglio, non spiegare

  • cartafaccio

    Articolo edificante, grazie!

    • Andrea Micalone

      Grazie a te!

  • ROBERTA MARCACCIO

    Bravo Andrea, condivido ogni parola, anche la difficoltà che ogni autore che voglia diventare tale incontrerà prima o poi quando di scontrerà con il “mostra, non spiegare”. Per me è stato il primo scoglio ed è, ancora oggi, un post-it sempre appeso al monitor: la vocina che mi ricorda che devo fare vedere e non raccontare.
    Grazie per avercelo ricordato 🙂
    Robi

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