intervista

Quattro chiacchiere con Mario Pacchiarotti

Oggi intervistiamo  Mario Pacchiarotti, autore self molto attivo che è entrato nella nostra vetrina grazie alla raccolta di racconti: “Fughe“.

Parlaci di te: com’è nata la passione per la scrittura?

È un effetto inevitabile, credo, del leggere. Almeno per me è stato così. Da sempre costruisco storie nella mia testa e anche se non ho pensato mai di scrivere, di fatto coltivavo l’embrione essenziale per la scrittura: fantasia e inventiva. Mi rendo conto che fa sorridere, ma in realtà sono arrivato a scrivere perché volevo provare la piattaforma KDP Amazon e per farlo mi serviva qualcosa da pubblicare, così ho scritto un racconto: “Il Papa Nuovo”. Nel farlo mi sono divertito davvero molto e così ho continuato e per ora non intendo smettere. Nel mio caso scrivere non è il tipico sogno nel cassetto, ma una passione arrivata tardivamente e che prendo con la massima serietà, ma anche con estrema serenità. Non ho obiettivi particolari, se non due: migliorare sempre; riuscire a scrivere qualcosa che un buon numero di persone trovino piacevole da leggere.

Perché hai scelto di pubblicare in Self Publishing?

Essere un autore indipendente non significa necessariamente self publishing. Si può pubblicare con editori quando il contratto non sia limitativo e pubblicare da soli quando non si trova un editore adatto, oppure quando si sono fatte delle scelte nella stesura di un’opera che renderebbero difficile farla accettare a un editore. Nel mio caso c’è un insieme di ragioni: il fatto di essere stato per qualche anno un autore di software indie; per Baby Boomers la volontà di non avere troppi filtri rispetto alle scelte fatte; in generale l’idea che la pubblicazione indie consenta gradi di libertà e velocità impensabili se si lavora con un editore. Ci sono certo anche degli svantaggi notevoli, ma per lo meno sono noti.

Quali sono i tuoi segreti per scrivere un libro di qualità?

Non ci sono segreti, c’è di sicuro tanto da lavorare e del tempo da far passare. Perché penso che non ci sia altro modo per migliorare che scrivere, sbagliare, digerire gli errori, trasformarli magari in punti di forza se possibile e quindi scrivere ancora. Questo credo valga per tutti. Per gli autori che si pubblicano in maniera indipendente c’è poi da fare molto altro. Essere un autore indie significa prendersi sulle spalle il ruolo di editore, con tutto quello che implica. Significa essere pronti a fare un investimento economico; capire che sono necessari alcuni passi essenziali per arrivare a confezionare un prodotto di buon livello qualitativo; accettare il giudizio dei professionisti a cui inevitabilmente ci si dovrà rivolgere. Non è una scorciatoia, è fare le stesse cose con maggiore responsabilità.

Perché ti sei candidato alla selezione di Extravergine d’Autore?

Extravergine è un’iniziativa per la quale provo un naturale interesse. Avevamo ragionato con altri autori sulla necessità di qualificare in qualche modo i nostri lavori, ma lo scoglio è sempre stato trovare una modalità di valutazione che fosse al tempo stesso trasparente, ragionevole e soprattutto tempestiva. Gli autori indie sono molti e producono svariate opere, trovare una modalità che garantisca un’analisi attenta, bilanciata e uniforme, e al tempo stesso garantire tempi brevi, non è cosa semplice. Da una parte ero curioso di vedere cosa avreste fatto, dall’altra ho visto un’occasione per avere un’altra valutazione esterna sul mio lavoro.