Show, don't Tell

Show don’t Tell, una trappola per l’esordiente.

Vi dico come la penso.
Cominciamo col dire che non esiste un modo giusto o sbagliato per raccontare una storia. Nessuna formula certa salverà lo scrittore. Credo che la buona riuscita di ogni racconto si giochi tutta all’interno di quel vasto campo minato che separa la sensibilità dell’autore dalla sua conoscenza della lingua. Le regole (infodump, show don’t tell, ecc…) si trovano tutte all’esterno e, alle brutte, evitano che lo scrittore finisca fuori strada, come il guardrail che sfila via sotto al finestrino, durante un viaggio in automobile.

La sensibilità è quel sentimento artistico e tecnico che permette all’autore di sentire quale sia il modo migliore per raccontare la sua storia. Più quel sentimento è affinato con la pratica e lo studio, migliori risulteranno le trame e l’esposizione.
La conoscenza della lingua si impara tra i banchi di scuola e poi sui libri degli altri, e richiede disciplina, curiosità, dedizione, amore e rispetto.
Le regole sono i paletti entro cui ci si muove. Non dovrebbero condizionare il percorso all’interno dello spazio tra sensibilità e conoscenza della lingua, ma assicurare di non finire fuori, lasciando lo scrittore libero di aggirarli, se è il caso, muovere qualche passo all’esterno e poi rientrare.

Fatte le dovute premesse, torniamo all’argomento principale dell’articolo: lo show don’t tell. A beneficio di quelli che ignorano l’argomento, diciamo che si tratta di una regola d’esposizione che consiglia di mostrare qualcosa anziché ridurla ad una didascalia.
Il padre della moderna letteratura americana, Mark Twain, consigliava in proposito:

“Don’t say the old lady screamed. Bring her on and let her scream.”
Non dire che la vecchia signora ha urlato. Portala in scena e falla gridare.

Facciamo un esempio pratico, tanto per intenderci meglio — non scomodo nessuna divinità della letteratura, provo a buttare giù qualcosa io:

(Tell) La casa era vecchia e cadeva a pezzi; sulle pareti si allungavano tristi sorrisi sbilenchi che erano crepe profonde nell’intonaco, e ritrovarsi con pezzetti di malta tra i capelli era facile quanto buscarsi un’allergia o un’asma a causa della muffa che colava dalle pareti come un pianto disperato.

(Show) Dario si spazzolò i capelli con un gesto nervoso.
«Che hai?», chiese Giulio scavalcando un pezzo di massetto sfondato, al centro del pavimento. Teneva la bocca ficcata in un grosso fazzoletto a causa della muffa che gli faceva pizzicare la gola.
«E me lo chiedi pure?», rispose l’amico pescando dai ricci folti i frammenti di intonaco caduti dal soffitto. «Questo posto fa schifo, e prima o poi ci cadrà sulla testa. E comunque è talmente umido che ci si potrebbe organizzare una gara di pesca alla trota».
Giulio annuì, smorzando un colpo di tosse nel fazzoletto. «Ho scelto il giorno sbagliato per dimenticare a casa il mio inalatore».

Questi sono due esempi di show e tell. Come potete osservare da soli, il tell permette di risultare più sintetici e di giocare con le descrizioni, ma non introduce nessun altro dettaglio, tranne quelli affrontati. Al contrario, lo show ci dà la possibilità di raccontare qualcosa in più — la casa fa schifo, Dario ha i capelli crespi e un certo gusto per la battuta, Giulio soffre d’asma e non è un tipo previdente, visto che ha dimenticato l’inalatore.

Quale dei due passaggi è preferibile utilizzare in un racconto? Nessuno. O entrambi, dipende da come volete vederla.
Oggi tutte le tecniche dello storytelling lavorano per immagini, e scrittori ed editor si sono piegati a questa tendenza, temo e credo condizionati dalla fiction televisiva e cinematografica. Abbiamo per questo sempre più bisogno di drammatizzare e sentiamo l’urgenza di mostrare, anziché raccontare.
Nei libri di oggi si fa sicuramente più uso dello show di quanto non accadesse ai tempi di Dostoevskij, Fitzgerald, Poe o Proust, autori che leggiamo ancora oggi, nonostante uno stile incentrato sul tell.

Il problema con lo show, per come la vedo io, è che non ti permette di entrare nell’intimo di un personaggio o di empatizzare con una situazione. Se dico che dai muri colava muffa come un pianto disperato, sono in grado di toccare certe corde nei lettori, accedendo ai loro ricordi e alle loro esperienze, e drammatizzando l’immagine suscitata con la carica emotiva di cui essi dispongono. Questo rende l’esperienza di lettura personale e soggettiva.
Al contrario, se dico che Giulio nasconde la bocca in un fazzoletto e che gli pizzica la gola, il lettore vedrà la scena solo attraverso l’esperienza del protagonista, proprio come farebbe al cinema o davanti alla TV.

E qui arriviamo al primo nodo della questione. Un libro è diverso da uno show televisivo, un film o un documentario. Il lettore non è uno spettatore passivo, ma è il mezzo attraverso cui la storia si presenta al mondo.
La letteratura permette allo scrittore di scendere in profondità, di prendere per mano il lettore e accompagnarlo nelle viscere della trama, scavando nella sua psiche e stimolando la sua emotività. Un romanzo lo leggi in poltrona, ma lo vivi all’interno delle pagine. Un libro muta la sua essenza al mutare del lettore. La stessa frase può avere interpretazioni diverse, suscitare emozioni contrastanti, infastidire o incantare.

Mostrare è, spesso, più facile che raccontare. Lo show è una tecnica efficace ed economica, che ci permette di dire tanto in maniera semplice. Il tell è, al contrario, uno stile raffinato e complesso. Per usarlo con efficacia bisogna avere un buon rapporto con le parole e conoscere a fondo la lingua.

E giungiamo al secondo nodo. Spesso gli esordienti non conoscono la differenza tra queste tecniche, e i loro libri sono un tell continuo, vomitato senza stile e cura sul lettore ignaro. Per essere più diretti: Proust poteva permetterselo, un Mario Rossi qualsiasi no.
Se non si è raggiunta la giusta maturità linguistica e padroneggiato almeno le basi della descrizione, è meglio affidarsi allo show, più semplice e diretto, in grado di fare sicuramente meno danni.

Quindi, giovani self-publisher alle prime armi, anche se vi sentite dei provetti Hemingway, date retta al caro Mark Twain: prendete la vecchia e fatela gridare. Tra una decina d’anni magari riuscirete anche a raccontare come sono le sue urla. Per il momento, accontentatevi di mostrarla starnazzare come un’oca.
Il lettore vi sarà grato di questa premura nei suoi confronti. E Proust la finirà di ridere come un matto nella tomba.

4 thoughts on “Show don’t Tell, una trappola per l’esordiente.

  • Wally Gualtiero Fin

    Preferisco il “TELL”… vedi le splendide descrizioni di Haruki Murakami e di tanti altri autori che amo: Lee Child, Barry Eisler, Tom Clancy, John Grisham, Robert Heinlein, Frederick Forsyth, Sue Grafton, Ken Follett… elencati in ordine sparso.

  • stellacorsara

    Condivido abbastanza il tuo intervento, ma credo pecchi per un elemento: il contesto. Anche Proust oggi cambierebbe il suo modo di scrivere. I tempi sono diversi e i lettori pure. Quelli di oggi sono abituati a Twitter Facebook e alle serie TV. Quindi devi essere tu, scrittore, ad attrarli e portarli al tuo libro. Non aspettarti il contrario.
    Un compromesso potrebbe essere: inizia con le descrizioni e le immagini e poi conducilo nel tuo mondo di parole! Una paraculata (francesismo), ma forse aiuta!;)

  • Alessandra

    È buffo, stavo giusto leggendo il primo capitolo del libro di Browne e King su self-editing che si occupa dello stesso argomento. In effetti, per quello che ho capito io, anche loro definiscono i lettori odierni come condizionati dalle immagini veloci, dai dialoghi, dalle azioni più che dalla descrizione narrativa. Tuttavia, al contrario di te, loro attribuiscono ai dialoghi la capacità di far provare al lettore ciò che provano i personaggi, di sentire il disagio, il fastidio, l’entusiasmo o la lascivia, cosa che coinvolge il lettore “di pancia” non “di testa”.
    Ma, continuando a citare il capitolo di cui sopra, se un libro fosse solo di azioni, rischierebbe di far sentire il lettore faticosamente senza fiato e, aggiungo io, mancherebbe di ritmo. Per evitarlo, propongono di alternare lo Show a momenti di Tell, usati per collegare le azioni o per descrivere pezzi di azioni non determinanti e dare maggiore forza a ciò che conta.
    Come dicevo, lo stavo leggendo or ora, in inglese, per cui non sono sicura che sia esatto, ma a me suona bene.

    • Alessandra

      Chiedo scusa per la grossolana imprecisione: il capitolo da me me citato girava intorno allo Show &Tell e non sullo Show, don’t Tell. L’argomento parte dalla stessa origine e scaturisce due punti di vista differenti.
      Mi cospargo in capo di cenere.
      Allo stesso modo, continuo a favorire il punto di vista di Browne & King. 😊

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