Ambra celeste
Maurizio Matassi
“Sabato, a 16 de febbraio 1521. Anche il Capitano Generale si è ammalato. Le sue condizioni sono apparse subito così gravi da indurmi a credere che avrebbe tosto condiviso la sorte toccata ad altri membri dell’equipaggio, morti nelle settimane trascorse per la fame e lo scorbuto. Di notte la febbre è cresciuta notevolmente, tanto da farlo cadere in un tormentato deliquio, in preda ai brividi. Magellano roteava gli occhi, purtuttavia senza vedermi, e gesticolava debolmente con la mano tremante, mormorando nomi di luoghi lontani, forse visitati nei suoi viaggi precedenti; ma ciò che del suo stato mi ha spaventato di più era la sua insistenza nell’indicare, nel vuoto, un’isola lontana, visibile solo a lui, e che, a suo dire, si librava al di sopra delle nuvole.”
Antonio Pigafetta,
Criado di Ferdinando Magellano,
Relazione del primo viaggio intorno al mondo.
Atto primo: Incontro di spie
La mattina del 18 agosto 1845, il Sungai Sarawak di Kuching sembrava più animato del solito, malgrado la forte pioggia che cadeva dalla sera precedente. Il canale andava via via riempiendosi di numerose e variopinte barche, diverse per foggia e fattura, che s’incrociavano pigramente, sfilando vicinissime le une alle altre, senza darsi fastidio, secondo un codice di navigazione non scritto e assai complesso che sembrava condiviso da tutti, fuorché dagli inglesi.
E nonostante questo, pensava un giovane occidentale, in piedi su una piccola imbarcazione coperta, nemmeno la presenza dei battelli di Sua Maestà pare in grado di turbare il traffico fluviale di Kuching.
Emile Saint Jacques non attese che la barca completasse l’approdo al pontile davanti all’albergo, ma sbarcò in fretta, con un agile balzo, e corse velocemente al riparo di una piccola ed elegante tettoia di legno, costruita sulla riva settentrionale del fiume. Era arrivato al Ranee fin troppo presto per le sue abitudini e trovò la hall semideserta, eccezion fatta per il concierge e alcuni valletti che andavano e venivano. Senza indugiare, si recò direttamente alla reception. Educatamente, chiese: «Per cortesia, ci sono messaggi per George St. James?»
Il concierge, per tutta risposta, dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi, gli rivolse uno sguardo impietosito.
Saint Jacques si rese conto in quel momento di avere i vestiti bagnati e sgualciti, ma non se ne curò.
«Ebbene?» insistette.
«Se il signore desidera cambiarsi…» tentò timidamente l’uomo.
Il giovane esaminò i propri indumenti, alla ricerca di indizi che potessero giustificare la riluttanza del concierge a fare ciò che gli veniva richiesto, ma non ne trovò a sufficienza. In effetti, Emile Saint Jacques era quel che si poteva definire un giovane di bell’aspetto e, di solito, assai curato nel vestire. Alto, di corporatura quasi atletica, con capelli biondi appena troppo lunghi e un’aria scanzonata, da eterno ragazzo, aveva un viso caratterizzato da una mascella forte e squadrata, impreziosita da lunghe basette, come usava a quell’epoca, che amava portare molto folte per mascherare la giovane età di appena ventisette anni. I vestiti di lino chiaro che indossava quella mattina, benché sciupati dall’acqua, si sarebbero asciugati in fretta nel calore dei tropici, e comunque non aveva né il tempo né la voglia di prendere a prestito dei vestiti dall’albergo.
«Il signore desidera sapere se ci sono dei messaggi per George St. James, per favore» disse con energia Saint Jacques, aggiungendo immediatamente, ma con un tono leggermente più contenuto: «È una faccenda piuttosto urgente, perciò, se non le dispiace…»
L’uomo sembrò turbato al pensiero di veder circolare per l’albergo un giovane gentiluomo bagnato come un pulcino, ma si sforzò di riguadagnare la sua compostezza e si spostò per aprire un cassetto alla sua sinistra. Ne estrasse subito una piccola busta, sigillata con la ceralacca, la posò delicatamente sul banco e la spinse verso il giovanotto in attesa davanti a lui. Questi la raccolse e la esaminò brevemente, senza aprirla.
Trovandola priva di elementi distintivi, ringraziò il concierge e la ripose nella tasca, facendo per andarsene. Poi, colto da un improvviso ripensamento, si voltò e chiese se il ristorante fosse già aperto. Se devo attendere, pensò, tanto vale fare colazione.
L’uomo alla reception non riuscì a mascherare un ultimo, rassegnato moto di disappunto ma, con un cenno, lo invitò ad accomodarsi.
«Grazie ancora» disse Saint Jacques, questa volta con un sorriso affabile, «La prego di riferire al latore del messaggio che può raggiungermi lì.»
«Come vuole, signore» rispose freddamente il concierge, senza guardarlo.
Il giovane si ravviò il ciuffo biondo, che gli ricopriva quasi interamente la fronte, e si diresse con calma verso il ristorante. La sala iniziava a ricevere i primi clienti, ma a Emile riuscì ugualmente di occupare un tavolo situato presso il muro opposto all’ingresso, scelto per meglio controllare il traffico degli avventori. Dopo aver sistemato il tovagliolo alla destra del piatto, anziché sulle gambe, per non inumidirlo, estrasse la busta dalla tasca e l’osservò, reggendola con ambo le mani fra sé e il tavolo. Il sigillo non riportava simboli o monogrammi, ma non ce n’era bisogno: Saint Jacques aveva ogni motivo di ritenere che il mittente fosse l’Ammiraglio Alexandre De Plancy, il suo diretto superiore, che intendeva confermargli per iscritto l’ordine di cooperare con un agente segreto del Regno di Sardegna, appena giunto in Asia per sostenerlo operativamente ed economicamente.
L’inaspettata notizia gli era pervenuta il giorno avanti, attraverso uno dei suoi informatori e, data la ristrettezza di tempi, era stato assai infastidito di non aver potuto dire la propria. La sua contrarietà, in effetti, nasceva da un approccio molto scrupoloso alla propria missione: in assenza di indicazioni da parte dei propri superiori, quali sarebbero stati i termini di questa nuova collaborazione? Quali informazioni e quali contatti avrebbe dovuto condividere? In tre anni di permanenza nel Borneo aveva creato una rete di confidenti e di spie molto efficiente e, ora che il suo impegno iniziava a dare i primi frutti, non si sentiva molto disposto a parlarne con un agente straniero, sebbene in possesso di solide credenziali. Inoltre, ammesso e non concesso che non fosse un infiltrato degli inglesi, che contributo avrebbe mai potuto dare al suo lavoro? Saint Jacques temette di veder buttati all’aria tre anni di rischi e di fatiche, specie in un momento cruciale come quello, in cui si sentiva davvero prossimo a imbarcarsi per la misteriosa e protettissima isola celeste di Kourang. In effetti, pensò, la decisione dell’Ammiragliato peccava di mancanza di tempismo e, in base a ciò, ritenne che l’atteggiamento più prudente fosse quello di prendere tempo.
Si, tergiversare poteva essere in quel momento la scelta migliore, ovvero: rimandare l’inizio della nuova collaborazione al suo rientro dai regni volanti, anche se ciò equivaleva a dire “a divinis”, dato che le incognite del viaggio erano appena inferiori a quelle di poterlo intraprendere. Inoltre, sentiva, portare con sé un nuovo elemento, dalla lealtà ancora tutta da provare, poteva essere un azzardo.