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Qualcuno che ti protegga

Francesco Zampa

Capitolo 1

Scrivere la Storia

«Dai René, tocca a te. Muoviti, su. Non deludermi, eh!»

Così dicendo, Henri Fournier, il Redattore Capo, mi passò il foglietto dalla sua grossa mano. Lo presi e lo lessi. Lui mi fissò ancora per qualche secondo, il capo un po' di sbieco, poi rimise il sigaro in bocca e mi diede le spalle, tornando alla sua scrivania dietro la porta trasparente del suo ufficio. Riconobbi per l'ennesima volta la fibbia di ferro delle bretelle rosse tra le sue scapole. Ogni volta che mi dava un incarico, concludeva con Non deludermi, eh! come se in realtà non si attendesse altro da me che l'ennesima delusione. Sul foglietto c'era scritto: Prepara il pezzo per la commemorazione, cinquanta righe, una foto, pagina sette. Commemorazione? La mia espressione doveva essere molto eloquente, perché Marie, la segretaria, che aveva osservato tutta la sequenza ed era abituata ai modi di Henri, parlò prima che potessi aprire bocca.

«Il 6 giugno, la commemorazione a Pointe-du-Hoc, René. Sei l'unico a non saperlo. Stanno ordinando il materiale che hanno trovato dalla fine della guerra, roba da riempire tre o quattro musei. Anche il governo si sta interessando.»

La guardai più o meno come avrebbe fatto un pesce lesso. L'unico a non saperlo. Lo dici tu. La commemorazione annuale dello Sbarco a Pointe-du-Hoc, una delle tante celebrazioni in quella terra che era diventata celebrazione essa stessa. Tre anni erano passati ed era come se fossero stati un solo giorno. Tutti ricordavano benissimo, tutti sapevano cos'era successo. I soldati venuti da lontano erano stati veramente eroici, oltre la propaganda e le loro intenzioni. Sembrava che la Normandia fosse stata creata solo per accoglierli un giorno, permettere loro di compiere gesta immortali e salvarci tutti. Avevano cambiato le sorti del mondo intero, c'era poco da dubitarne. Come dimenticare?

«Lo so, lo so. Solo non mi aspettavo che mandasse me.» Cercai di riprendermi.

«Sa che hai studiato storia. Forse è arrivato il tuo momento, che dici?» Marie cercava sempre di incoraggiarmi. Credo che lei mi vedesse sempre un po' con la testa per aria. In effetti era così che mi sentivo: sotto osservazione, sempre a dover dimostrare qualcosa.

«O magari ha promesso il pezzo a qualcuno dei suoi amici ma non ha nessuno da mandare.» Marie non rispose. «Ma non fa niente, non ti preoccupare. Certo che ci vado.»

Non ero mica così matto da rifiutare un lavoro. Come avrei fatto a pagarmi gli studi? A dire la verità, questo è ciò che dicevo a tutti per non dare troppe spiegazioni. In realtà dovevo lavorare per vivere, era tutto qui. Non avevo nessuno che mi mantenesse né un mestiere, e mi arrangiavo a fare tutto quel che mi capitava. L'unica fortuna, si fa per dire, lascito della guerra, era la carenza di manodopera un po' in tutti i settori. Da qualche tempo, vivevo solo in un appartamento di ventidue metri quadrati in Rue Eugène Varlin: un seminterrato, a dirla tutta, con il disordine di una cantina. Quasi non mangiavo per avere sempre da parte una sommetta che, speravo, un giorno mi sarebbe dovuta servire per qualcosa di importante. Non sapevo cosa e neanche il perché, ma seguivo l'istinto senza fare una grossa fatica, dato che non avevo nessuna esigenza particolare.

Stella, mia madre, insegnava danza classica in diverse scuole. Era brava quanto un'étoile, e forse ce l'avrebbe potuta fare. Beh, per me lo era; però aveva smesso già da un po' di inseguire i suoi sogni di ballerina, in pratica da quando ero nato io. Ricordo che, da piccolo, di sera la sentivo canticchiare sempre la stessa canzone mentre provava e riprovava i passi che più le piacevano, tanto che anch'io avevo in mente strofe e ritornelli a forza di sentirla. Altro che musica classica, quella era proprio rivista e cose del genere. Teneva testi e musica davanti a sé e non capivo perché, visto che li sapeva a memoria. Io sbirciavo curioso quei buffi segni scritti a penna in modo preciso ed elegante, e lei si giustificava dicendo che studiare significa controllare e ricontrollare, sempre. Bah. Ma lei non sbagliava mai e, alla fine, si allungava come faceva sul palcoscenico prima dello spettacolo. Quando l'aspettavo dietro le quinte, la vedevo specchiarsi alla sbarra e provare e riprovare i movimenti con una grazia che mi incantava. Altre volte leggevo tutto quel che mi capitava sottomano, o mi addormentavo su poltrone vecchie e sdrucite nonostante la puzza di polvere e stantio. Lei correva avanti e indietro per tutta la città per cercare di crescermi al meglio e io l'aiutavo come potevo, ero una specie di factotum ma, specie durante la guerra, non era stato affatto facile.

La cosa mi faceva sentire in colpa e fu anche per questo che, appena potei, me ne andai. Lei, quando mi vedeva pensieroso o con un po' di muso, capiva subito tutto e mi si poneva davanti en dehors, mi dava una spettinata veloce con la mano e diceva: Non ti preoccupare, sto bene così. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci protegga. Non è che le credessi molto. Spesso era seria, sentiva di sicuro il peso della situazione e non poteva non avere rimpianti. Chi lo farebbe se non ci fossi io? Una domanda con una sola risposta, che costringeva lei quanto me, anche se non poteva dirmelo apertamente. Già, chi? Papà, verrebbe da dire… ma chissà dove si trovava in quel momento. Ogni volta che le chiedevo qualcosa, lei cambiava discorso e io, di conseguenza, me ne andavo e lasciavo passare sempre più giorni prima di farmi vivo di nuovo.

In effetti, l'unica parente della quale avevo notizie era la zia Myriam, che però da tanti anni se ne stava in America, a New York, beata lei; lì si faceva chiamare Louise, forse un nome d'arte visto che era ballerina anche lei. Però mamma era più brava. Per Myriam la guerra era stata qualcosa da leggere sui giornali e da vedere nei cinegiornali. Mamma ne parlava con affetto e nostalgia, lei ci scriveva e ci invitava, ma di andare a trovarla non se ne parlava, chissà perché. Il passaggio in nave non era poi così costoso, in III classe, s'intende. Ogni tanto ci facevo un pensierino, anche se rimaneva senza seguito.

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Qualcuno che ti protegga

Francesco Zampa

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Leggi l'anteprima

Parigi, 1947. René ha poco più di vent'anni e vive accampato in un seminterrato. Lavora come mozzo, dice lui, in una rivista di ricerca storica parigina, Liberté!, che gli permette di seguire la sua passione per la storia contemporanea.

Ha un rapporto difficile con la madre Stella, un'insegnante di danza che si è fatta in quattro per crescerlo nella Parigi occupata, schivando con abilità i rastrellamenti degli Ebrei, e soffre per la mancanza del padre mai conosciuto. Quando il suo giornale riceve la notizia di clamorose rivelazioni sui Ranger che conquistarono la casamatta a Pointe-du-Hoc, Henri, il capo-redattore, lo invia sul posto per approfondire.

A sostenere questa ipotesi oltraggiosa della memoria dei vivi e dei morti, è un certo Gaillard. "Non tutti i Ranger furono eroi", dice, "perché io passai la giornata del 6 giugno nascosto dai bombardamenti in una capanna, in compagnia di uno di loro". René ha sempre ammirato l'operazione di quel manipolo di coraggiosi, ma non può esimersi dal ricercare la verità in quella storia. Da qui, sullo sfondo della Terza Commemorazione dello Sbarco, René, a cavallo di due continenti, troverà inaspettatamente l'abbrivio per risolvere in maniera definitiva i molti nodi della sua esistenza.

L'autore

zampa

Francesco Zampa è nato ad Assisi nel 1964. È cresciuto con letture bonelliane, i noir, i western di John Ford e la fantascienza classica per passare poi, tra gli altri, a Michael Crichton, John Grisham, Tom Clancy, Frederick Forsyth e Stephen King. Il suo film cult è "Ben-Hur", il libro "Moby Dick".
Autore indipendente dal 2012, ha pubblicato quindici titoli (di cui tre tradotti in tre lingue) di diverso genere con il proprio marchio, Zipporo Direct Publishing.
Ama affrontare grandi argomenti come il condizionamento mediatico e lo strapotere economico e politico.

Il suo sito web


Perché l'abbiamo scelto

Qualcuno che ti protegga è un romanzo delicato e piacevole, a tratti commovente.

La ricostruzione storica è precisa e ricca di riferimenti, riportati puntualmente nelle note finali. Ancor prima che storico però, si tratta di un romanzo di formazione, il cui protagonista è impegnato nella ricerca del suo posto in un mondo tutto da ricostruire, dopo la II Guerra Mondiale.

E questo è uno dei punti di forza del libro: Zampa, infatti, riesce a dipingere il sacrificio delle popolazioni stravolte dalla guerra in modo realistico e coinvolgente, e sa trasmettere con trasporto i sentimenti del giovane protagonista, che ha sofferto la mancanza di un padre più della persecuzione nazista.