Kisandostan
Ciro Teleffe
1. Kisandostan
Me ne sto qua, e che la sera
arrivi, perché
domani partirò! Zan zan!
Adesso io detto e tu scrivi,
oh penna, oh yes, you can!
Lascerò questo luogo che
interagisce. Un saluto al cactus che
punge,
al basilico che condisce,
al fungo, che più allucina, più funge.
Un saluto alla libreria,
all'edera che si arrampica quando non
guardi, agli operai che escono tardi
e invadono le vie come la mia.
Voglio raccontarla bene,
altrimenti non crederete a ciò che
ho visto: Satana, Lucifero, Mefisto,
a mazzi, a mani piene-piene.
È stato come un
viaggio, perciò
tornerò sul
sentiero,
sotterrerò un (?) sotto a un pero
per cancellar le tracce del
passaggio. Nasconderò
più d'una cosa,
non solo per esser latitante,
ma per la discesa goduriosa del
viandante sul libero orizzonte in prosa;
affinché avanzando
possa stupirsi, e io possa dire Zan
zan!
Come ora che vedrà
aprirsi, con queste parole,
Kisandostan.
Kisandostan è “La pantofola smangiucchiata dal cane di Dio”. Una terra capricciosa confinata a mare e monti, sigillata a nord da tante montagne vicine-vicine, strette-strette: le Alpiccicate. E bagnata dal vecchio imperturbabile mar Meditabondo.
Chi dovesse approdare su queste coste vedrebbe snodarsi davanti a sé una strada panoramica a curvoni, che sale su e arriva fino alla piazza centrale. Lì troverebbe il bar di Vinicio, sentirebbe il profumo dei cornetti caldi, che ogni mattina sveglia il paese insieme alle campane di don Domingo. La chiesa e l'antico palazzo del governo stanno al centro della piazza, di fianco a loro si erge maestosamente un edificio più moderno, monoblocco-prefabbricatogrigio: il famigerato CMPP (Comitato Mamme Parecchio Preoccupate).
Poco più in là c'è il commissariato delle guardie, dal quale è meglio tenersi alla larga, per via delle sue pericolosissime scale.
In un posto a casaccio fra i vicoletti si trova la scuola, riconoscibile dall'immensa antenna cancerogena sul tetto.
La prossimità fra le case fa sì che si possano ascoltare le discussioni, le riappacificazioni e perfino gli starnuti dei vicini. Si capisce chi russa e chi fa sogni erotici.
Una casa però si dissocia da questa logica urbanistica.
Ci si arriva superando l'effeddiccì (l'ex Fabbrica Di Cose dove dormono accampati i senzaquattrini), si continua la dissestrada fino al burrone e si arriva alla casa. Inespugnabile. Nemmeno i gitani, le coppiette in calore, i punkabbestia, i satanisti, i graffittari estremi sono mai riusciti a oltrepassare la fitta barriera di rovi. Ma da qualche giorno, un temporale violentissimo ha sgrovigliato un fianco della casa, scoprendo alla vista una parete livida e ferita. E un cancelletto di ferro arrugginito.
Mariuccio, Ernestina e Carletto, nel corso dell'infanzia, si erano avvicinati a quella catapecchia mediamente di novecentodieci metri all'anno: due e mezzo al giorno circa.
Si erano conosciuti da piccoli fra i passeggini in piazzetta; avevano giocato con la fontanella e i gavettoni; soldatini, biglie, figurine; citofoni suonati, pistole a piombini; col tempo erano passati al campetto dei preti; al fightclub nel parchetto e ora, com'è come non è, stavano sempre sulla dissestrada, a sfidarsi in un pentathlon folle fatto di merda e sangue. Quel giorno avevano già giocato a sputo indelebile, campana sbucciacroste, lucertola solleticona e scoreggia infuocata. Poi l'undicenne Carletto, detto “Il Vecchio”, figlio di genitori sordi, secco allampanato, con la palpebra svampita e un colorito sospetto, estrasse lo smarfonso scarico e domandò: «che ore si sono fatte? Io devo andare a vedere il Superquiz.»
«Sta' tranquillo, Vecchio, ché è presto! Il pomeriggio è ancora giovane e noi dobbiamo accumulare ricordi memorabili! Ricordi? Ché se non sono memorabili, chi se li ricorda?»
A parlare così era stato Mariuccio, il figlio unico di Antonietta Sottutto, la grande capa del CMPP e autrice del bestseller "Giocare senza sudare", nonché della famosissima canzone "Quella sua maglietta di ricambio". Ultimamente molte mamme accusavano Antonietta di conflitto d'interessi proprio per colpa del figlio Mariuccio, considerato da tutti un impunito, un ladruncolo, un drogato di zucchero. Una volta venne sorpreso a rubare un pacchetto di caramelle sfriccicose proibite ai minori di tredici. Lui, coetaneo di Carletto, da un paio d’anni si rifiutava di parlare con gli adulti.
«Sono le ventuno e trenta», disse Ernestina consultando lo smarfonso suo. Il comitato aveva messo una taglia su di lei. Mariuccio aveva il divieto categorico di frequentarla…
«Ma che t'inventi! Il sole non è ancora finito dentro al mare. Saranno sì e no le sette», ribatté Mariuccio senza smarfonso. Ne era sprovvisto poiché lo aveva volontariamente disintegrato con un sasso, squagliato con l'accendino, e infine sotterrato sotto a un pero. A far scattare l'ira del bambino, riportano le cronache locali, sarebbe stata la venticinquesima chiamata consecutiva di Antonietta. Ma in realtà lo aveva fatto per eludere il CMPP, che aveva installato sul telefonino un sofisticato GPS (Genitori Parecchio Sospettosi).
Scavando sotto l’albero aveva trovato un altro oggetto non identificabile. Qualcuno doveva averlo distrutto, squagliato e sotterrato in quello stesso posto prima di lui. Facendo spallucce e pensando “Boh”, Mariuccio aveva ricoperto tutto e se n'era andato, libero, senza pensieri né GPS.
«Quello che volevo dire è che sono le ventuno e trenta… in Arabia Saudita», specificò Ernestina.
“Non sono ancora pronto per il Superquiz”, pensò Carletto, accorgendosi di non sapere se in Arabia Saudita fosse davvero quell’ora lì.
Mariuccio fece finta di nulla perché fino a quel momento aveva creduto si dicesse "La rabbia esaudita", che nella sua testa era una specie d’ufficio dove la gente arrabbiata veniva accontentata.
«Va bene, quindi che possiamo fare per divertirci un po'?» chiese Carletto.
«Allora, per divertirci un po' potremmo giocare a campo cacato, ma per divertirci tanto potremmo entrare nella casa abbandonata di Gisella...» rispose Ernestina.
«Non si può!» esclamò Carletto stonando. A Mariuccio s'illuminarono gli occhi.