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Quella notte il vento

Rossella Romano

1

6 luglio, mattina,

sotto la quercia

Caro Arci,

Mmm…

Caro Arci… questo l'ho già detto.

Ecco, lo sapevo.

Eppure pregustavo il momento di mettermi a scrivere fin da quando ho aperto gli occhi, stamani. Le frasi hanno continuato a scorrermi in testa mentre mi vestivo, poi a colazione, e anche mentre camminavo qua fuori nel sole, sull'erba lasciata un po' troppo alta. Proprio fino a un attimo fa, fin quando ho scritto quelle due parole, e adesso… il vuoto. Non so davvero da dove cominciare.

“Comincia da un punto qualsiasi”, dici tu; ebbene, seguirò il tuo consiglio e partirò fornendoti un'accurata descrizione del mio aspetto esteriore, in modo che tu possa immaginarmi. Dunque: ho una testa coperta per metà da capelli e per l'altra metà da vari abbriccichi atti al collegamento con l'esterno, (occhi, bocca, naso, orecchie, quella roba lì, insomma); un tronco, due braccia, due gambe, piedi e mani. Nella mano destra stringo una penna che in questo momento si sta muovendo, traccia segni incomprensibili che solo con molto intuito qualcuno potrebbe identificare come scrittura. Per completare questa pedissequa descrizione ti dirò che indosso un vestito a fiori gialli. È un regalo, lontano mezzo secolo da come mi vesto di solito, tuttavia s'intona ai ranuncoli che mi circondano, (dovrei dire piscialletto, perché in questa stagione son rimasti solo quelli, ma non vorrei scandalizzarti), e soprattutto s'intona al mio stato d'animo: bucolico e sonnacchioso.

Ho una lunga, lunga estate davanti a me; senza tele, senza cellulare (senza cellulare?!), senza PC, (senza PC?!), senza nessuno dei miei ex compagni e senza nemmeno letture obbligate per le vacanze, perché mi sono appena diplomata.

Ho scelto di defilarmi per due mesi, di conoscere la donna di cui porto il nome, di scoprire il motivo che spinse i miei a chiamarmi Epifania, come la nonna appunto, quasi diciannove anni fa, per poi tenersi a distanza da lei per ben tredici anni.

Suona stranissimo, eh?

La nonna è dentro casa, adesso, là in fondo al prato. La vedo perché sta seduta vicino alla finestra. Guarda in basso, credo stia lavorando. È una… (assaporala questa parola, perché sembra impossibile che ne esistano ancora), ricamatrice. Ci sono i suoi lavori sparsi per casa. La coperta del mio letto l'ha fatta lei. Ieri notte mi sono persa dentro al disegno centrale, un complicato intreccio di piante che indubbiamente occupa uno spazio finito, ma che sembra dilatarsi e crescere, quando lo osservi da vicino e ne segui i contorni. Un vero delirio di germogli e foglie e fiori, che non riesco assolutamente a descrivere.

Gira voce che guadagni bene, la nonnina. Prepara lenzuola e tovaglie per il corredo delle spose e vuole conoscerle tutte personalmente, prima di cominciare a lavorare. Ad ogni occasione speciale arrivano due raccomandate a casa nostra, una per me e una per mio fratello. Contengono una cifra in contanti che polverizza l'inflazione, (da cinquecentomila lire a cinquecento euro è stato l'ultimo balzo), e un biglietto che, nel mio caso, termina sempre allo stesso modo: “Spero che i tuoi occhi siano ancora ben aperti.”

È proprio piena di misteri. Ad esempio ricama senza occhiali, sebbene abbia quasi settant'anni, e la cosa buffa è che a volte sembra non guardare nemmeno cosa stia facendo. L'ho visto ieri sera, mentre facevo finta di leggere e mi lasciavo ipnotizzare dal tic tac dell'orologio appeso in cucina. Mi sentivo terribilmente triste e davvero non so come lei riesca a vivere qui da sola. È l'ultima casa prima del bosco, la sua, (fa un po' Cappuccetto Rosso, lo so, ma non posso farci niente, è la verità); i vicini più prossimi abitano dopo la prima curva e il paese è a dieci, quindici minuti, andando a piedi, e poi è piccolo e desolato anche quello. Se mi affaccio lo vedo, un po' soffocato dagli alberi che coprono la scarpata; vedo il campanile e la piazzetta e la bottega…

Mi chiedo se e quanto riuscirò a resistere. (Sono in paurosa astinenza da messaggini). Tutte le cose che ho spinto a forza nel cervello in vista dell'esame scivolano via depositandosi chissà dove… forse nelle budella.

Bene, credo di potermi fermare, per ora.

Un'altra cosa sola. Non lo dicono mai, a noi cresciuti in città: la natura è invadente. Sono seduta all'ombra, ma il cielo è così azzurro da costringermi a socchiudere gli occhi, se appena alzo lo sguardo; l'erba profuma troppo e le cicale… sono ossessionate stakanoviste.

Frinire o morire, il più rumorosamente possibile.

Ancora spaesata ma onesta,

Fani

Seduta presso la finestra, godendo di un raggio di sole che, chissà come, riusciva a superare lo spessore del muro esterno, a insinuarsi dentro per cadere sulla balza che stava ricamando, la vecchia Epifania lasciò che le mani prendessero il sopravvento, che decidessero da sole come muoversi; che il disegno che aveva in mente svanisse, sostituito da una pura potenzialità senza forma.

Il movimento dell'ago, (un antico, antico strumento), accelerò; le sue dita, ancora sorprendentemente agili, si animarono di volontà propria, forti dell'esperienza di un incalcolabile numero di ore, di una familiarità che risaliva a tempi di cui non conservava alcun ricordo, se non qualche immagine sbiadita di un ago straordinariamente grande e pungente, stretto fra dita piccole, goffe e tenere.

I suoi pensieri presero a vagare, la sua mente si allontanò… per tornare al presente, di colpo, solo quando l'ago incontrava una resistenza inaspettata, o in corrispondenza di passaggi particolarmente difficili, o ancora, di tanto in tanto, per controllare che le immagini da cui traeva ispirazione, (che galleggiavano in qualche angolo remoto della sua memoria), non trasparissero troppo nel disegno che si stava formando.

Le dava una sensazione di benessere assoluto star così raccolta, chinata su un millimetro alla volta dell'Universo, e allo stesso tempo essere libera di pensare a qualunque altra cosa. Di solito si concentrava sulle faccende quotidiane, o magari sulla destinataria del corredo cui stava lavorando; a volte le sembrava di non pensare a niente, come un albero, ma quella mattina non aveva possibilità di scelta: la piccola Fani era arrivata il giorno prima, accompagnata… qui sorrise, portandosi la mano alla bocca, sentendo il freddo contatto del metallo del ditale sulle labbra, perché…

Perché non è riuscito a tenerla lontana, no…

– Ha chiesto lei di venire, mamma, – ha confessato, ed io ho pensato: Hai un po' una faccia da tonto, figlio mio, ma non l'ho detto. Ho sorriso, invece, riempiendomi il viso di rughe da brava nonnina, e ho risposto soltanto: – Avrà bisogno di riposarsi, dopo la fatica dell'esame, poverina…

Lei mi guardava in silenzio e i suoi occhi un po' ridevano, come i miei, un po' mi studiavano, e la corrente del sangue che ci unisce attraversava la stanza, scavalcando suo padre.

– È tutto pronto, – ho detto. – La lettera è arrivata già da due giorni. Merito di quel francobollo nuovo, credo, quello bruttino.

– Posta Prioritaria, – ha sussurrato lui, cogliendo al volo l'opportunità di poter parlare di qualcosa che io ignoro. – Costa un po' di più, ma la posta arriva in ventiquattrore.

– Bello. Se ci riescono così, dovrebbero riuscirci anche con un francobollo normale, non credi? – ho risposto, ed eccola lì, la mia Fani bambina, apparsa all'improvviso come il suo sorriso.

La vecchia ciabatta è spiritosa, deve aver pensato. Ma, anche se mi ha sentito troppo vicina, ancora mi rispetta. Rispetta la mia età. Ha fatto sparire quelle cosette striminzite che indossava ieri e si è messa il mio vestito. Vecchio di cinquant'anni, ma rinfrescato da un lavaggio al sapone di Marsiglia e da una mattinata trascorsa a svolazzare sul filo, sotto il sole.

La guardò, sollevando gli occhi dalla foglia di vite che stava apparendo sulla balza, e immaginò i due piccoli ricami, (frutto del lavoro di due giorni prima), nascosti all'interno delle tasche del vestito: una spiga di grano, simbolo di abbondanza, in quella destra, e un disegno ancora più antico, un potente simbolo di protezione, in quella sinistra.

Per un attimo rabbrividì, quando la cicala nascosta fra l'edera del muro esterno si zittì di colpo, e Fani le sembrò troppo giovane, troppo esposta…

Ma il sole era alto e potente e le foglie della vecchia quercia sussurravano nel vento giusto, (né troppo forte, né del tutto assente), e un sacchetto di plastica pieno di baccelli da sgranare era in attesa sulla tavola…

– Fani! – gridò, posando il lavoro e affacciandosi alla finestra. – Vieni ad aiutarmi!

Quand'era piccola le piaceva, si disse fra sé, ignorando quella paura fastidiosa, inopportuna, che le stava ancora addensata in gola. Vedere i piselli rotolare ticchettando giù nella terrina, grossi e verdi. Niente la faceva più ridere di quando uno rimbalzava strano e cadeva a terra.

– Guarda nonna, sta scappando! – gridava.– Non vuole essere mangiato!

Poi però lo raccoglieva, e non per non sprecarlo, ma per non lasciarlo lì da solo…

esci

Quella notte il vento

Rossella Romano

quella notte il vento
Leggi l'anteprima

Fani decide di trascorrere l'estate dopo il diploma nella casa della nonna paterna, in collina.

Cerca pace e riposo, ma non solo.

Da tredici anni tutta la famiglia ha rotto i ponti con la donna, per una lite di cui, a casa sua, nessuno parla mai.

La ragazza, un po' per gioco, un po' seriamente, si è convinta che la nonna Epifania, di cui porta il nome, nasconda un segreto inconfessabile.

Fani non lo sa, ma il vento ha già cominciato a chiamarla. Soffia dalle profondità del bosco, di notte, portando fino a lei uno stormo di creature alienate, nate col solo scopo d'impedirle di rispondere al suo richiamo; di seguirlo fino all'accesso ai territori misteriosi, stupefacenti, ma anche pericolosi, da cui proviene.

Quella notte il vento è soprattutto di una storia di crescita, di segreti familiari e di superamento delle proprie paure profonde, che sa unire i tratti del fantasy classico al racconto romantico e di formazione.

L'autrice

romano

Rossella Romano, classe 1971, è sposata e ha due figli, una ragazza di 28 anni e un ragazzo di 22, e una nipotina di 2 anni. Si definisce curiosa e le piace fantasticare, immaginare aspetti nascosti nella realtà; per questo scrive spaziando fra fantascienza, fantasy e horror. I suoi personaggi sono persone normali catapultate in situazioni straordinarie, che siano case infestate, viaggi inaspettati verso pianeti lontani, o mondi segreti.
Fra i quattordici e i ventiquattro anni è stata prima giocatrice e poi Dungeon Master del famoso gioco di ruolo Dungeons & Dragons, un'esperienza che considera fondamentale per la sua formazione.
Nel 1996 scrive il suo primo romanzo fantasy, Il Segno dei Ribelli, che cinque anni dopo viene pubblicato dalla Casa Editrice Nord, numero 173 della Fantacollana. Dal 31 luglio del 2014 ha ripreso a pubblicare come indipendente e, di conseguenza, a scrivere ad un ritmo molto meno rilassato rispetto a quello tenuto negli ultimi dieci anni.

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Perché l'abbiamo scelto

Rossella Romano ha una prosa ricca e mai banale, abbinata a una gestione della trama ineccepibile: con grande maestria svela, prima ancora di piazzarli, i tasselli del suo puzzle, lasciando il lettore in compagnia della sua immaginazione fino a mostrargli il ricamo finale della storia.

E di questa capacità Quella notte il vento ne beneficia a piene mani. Un romanzo che si svela pian piano, sprofondandoci nei sogni e nelle passioni della protagonista, accompagnandoci in realtà fantastiche ma al contempo molto concrete, facendoci vivere emozioni e sentimenti che soffiano forti come il vento.

Un romanzo che va oltre la narrazione di genere e appassionerà il lettore che ama lasciarsi trasportare dalla fantasia e dal cuore.